venerdì, Novembre 15, 2024
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MEDIO EVO: IL PRETE LIPRANDO CONTRO L’ARCIVESCOVO GROSOLANO

di Carlo Radollovich

Diversi lettori ricorderanno la canzone di Enzo Jannacci dal titolo “Prete Liprando e il giudizio di Dio”, su testo di Dario Fo, ove si mettevano in risalto due curiosi personaggi: il prete Liprando (1055-1113), sacerdote presso la chiesa di San Paolo in Còmpito e l’eremita, poi diventato arcivescovo, Pietro Grosolano (1060-1117), il cui cognome, a partire dal XIV secolo, venne trasformato in Grossolano.

Inizialmente, Grosolano (continueremo a chiamarlo come in origine) era stato nominato vicario dell’arcivescovo Anselmo da Bovisio. Mentre ricopriva tale carica, si fece vivo Liprando, della fazione patarina, il quale accusò pubblicamente Grosolano di vestirsi troppo semplicemente, quasi da poveraccio, senza quella sfarzosità che il suo autorevole incarico avrebbe richiesto. Stranamente, l’appunto proveniva da un prete patarino che in passato aveva combattuto certe pompose esteriorità ecclesiastiche, esteriorità che nascondevano a volte sospetti di simonia. Non solo. Rincarava la dose offrendo monete a Grosolano per l’acquisto di abiti più consoni.

In quegli anni era arcivescovo di Milano Anselmo da Bovisio, il quale decise di partire per la Terra Santa nel settembre del 1100 alla testa di circa 50mila milanesi che formavano l’ossatura della cosiddetta Crociata dei Lombardi, resa celebre dall’opera di Giuseppe Verdi.

Purtroppo, nel 1102, giunse a Milano la notizia della morte di Anselmo e Grosolano gli successe sulla cattedra arcivescovile, dopo che l’abate Arialdo della basilica di San Dionigi si era particolarmente speso, unitamente ad altri sacerdoti, per la sua elezione.

Alcuni mesi dopo l’elezione, Liprando cambiò strategia nei confronti di Grosolano, accusandolo apertamente di simonia e di avere assegnato incarichi presso la curia facendosi pagare dalle persone aspiranti. Resta il fatto che Grosolano, nel 1103, venne sfidato da Liprando ad una ordalìa, ossia al cosiddetto giudizio di Dio, che consisteva nel camminare a piedi nudi su tizzoni ardenti. L’arcivescovo fu costretto ad accettare e due cataste di legno, pagate dallo stesso Liprando, furono preparate allo scopo presso il monastero di Sant’Ambrogio. Il 25 marzo dello stesso anno, Liprando celebrò in loco la messa, lanciò violente accuse contro Grosolano, fece il segno di croce e si incamminò per primo tra le due cataste in fiamme. Uscì dalla prova senza aver subìto ustioni di qualsiasi genere.

In molti credettero in un suo abile trucco e alcuni cronisti dell’epoca ritennero addirittura che l’esecuzione dell’ordalia non fosse mai stata effettuata. Non si conoscono le immediate reazioni di Grosolano (il quale evidentemente aveva rinunciato alla… passeggiata tra le fiamme). I racconti di quei giorni lo vogliono in partenza per Roma, ove fu accolto con grande cordialità da papa Pasquale II. Il pontefice, infatti, riteneva che la disputa milanese tra i due fosse in sostanza più politica che religiosa.

Grosolano, per evitare disordini, rientrò a Milano soltanto dieci anni dopo, nel 1113, quando Liprando morì. Ma ripartì presto dalla nostra città ritirandosi presso il monastero di San Marco a Piacenza, lasciando l’incarico di arcivescovo milanese al neoeletto Giordano da Clivio. Grosolano passò a miglior vita nel 1117.

 

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