di Carlo Radollovich
L’amministrazione austriaca ereditò da quella spagnola una lunga serie di edifici religiosi che dovevano necessariamente essere sfoltiti, per poter consentire la costruzione di una Milano nuova e moderna.
Tali costruzioni erano complessivamente oltre duecentocinquanta e, per renderci conto degli spazi occupati, basterà iniziare un brevissimo viaggio con la mente, dando uno sguardo alla mappa milanese del padre Lattuada, datata 1737, e perciò risalente a tre anni prima dell’inizio del regno di Maria Teresa.
Partendo dalla chiesa di San Babila, possiamo osservare poco dopo quella di Santa Maria delle Ossa, l’Oratorio dei Disciplini. In via San Romano (oggi corso Monforte), ecco apparire il tempio dedicato a San Romano. Nell’isolato opposto, in via Borgogna, notiamo altre due chiese: l’Oratorio della Carità dei Carcerati e la parrocchiale di Santo Stefano in Borgogna. Superato il ponte sul Naviglio, in direzione Porta Orientale,
fu eretta la chiesa di San Pietro Celestino e successivamente il relativo monastero nella via del Collegio Elvetico. Poi l’educandato delle Vergini di Santa Maria del Rosario e, dopo una serie di casupole (abbattute per far posto al Palazzo Serbelloni, eretto più avanti), ecco la chiesa della Confraternita Ambrosiana di San Rocco. Più avanti, appare il convento dei Cappuccini (di fronte all’attuale via Palestro) con la relativa chiesa dell’Immacolata Concezione. Infine, ove attualmente si trovano i Giardini Montanelli, erano presenti il convento di Santa Maria Addolorata e il monastero di San Dionigi dei Padri Serviti.
Il viaggio che abbiamo effettuato sulla mappa è di circa ottocento metri e abbiamo incontrato otto chiese di cui tre parrochiali, un educandato e quattro conventi, costruzioni che venivano nel complesso definite non al massimo dello stile artistico. E infatti, ne sopravvivono soltanto tre, con estensione ridotta.
Come si diceva, c’era molto da sfoltire. Ma l’Austria, in ogni caso, per poter iniziare in loco un’attività amministrativa ben centrata e oculata, era obbligata a censire, elencare i vari mestieri degli abitanti, stimare i loro redditi, certificare coloro che pagavano le tasse e scovare chi non saldava nessun tipo di imposta. Successivamente ecco concludersi, nel 1760, i lavori del catasto (iniziati per la verità quarant’anni prima sotto Carlo VI). Si tratta di opera assai importante, tuttora valida, alla base di una intelligente riforma fiscale.
Dai censimenti risultò che, in tutto il ducato di Milano, abitavano un milione di abitanti. Si tenga conto che la Lombardia era priva delle province di Brescia e Bergamo, occupate dalla Repubblica di Venezia. E a Milano ? Nel 1770 si contavano 128mila abitanti. Abbastanza pochi se, come scritto da Frà Bonvesin della Riva, nel 1288 erano presenti in città 200mila persone circa.
E l’operato di Giuseppe II dopo la morte, nel 1780, di Maria Teresa ? Adottò una politica assai ambiziosa con ideali di chiara marca illuministica e viaggiò molto attraverso l’Europa per arricchire le proprie esperienze. Inoltre, costituì a Milano un ufficio centrale di Polizia, concesse alla nostra città ampi spazi per le scienze e fondò qui scuole di medicina e di chirurgia. Riuscì a risvegliare dall’oblio la Zecca di Milano, autorizzando il conio di diversi tipi di monete.