venerdì, Ottobre 3, 2025

Malattie cardio-metaboliche

Un italiano su due (50,1%) tra i 40 e i 69 anni che non ha avuto precedenti eventi cardiovascolari…

…presenta un rischio cardio-metabolico medio-alto. Ripartire dalla prevenzione, elemento chiave nelle politiche di contrasto alla diffusione delle patologie croniche, come quelle cardiovascolari e metaboliche, agendo sui fattori di rischio cardio-metabolico modificabili, potrebbe evitare l’80% dei decessi collegati a queste patologie. Programmi di screening cardio-metabolico sulla popolazione target potrebbero migliorare gli outcome di salute, riducendo negli anni la probabilità di eventi cardiovascolari maggiori, il burden sanitario e, secondo il modello di stratificazione del rischio SCORE2 adottato da TEHA Group, offrirebbero un ritorno economico positivo (ROI=1,6) per il Servizio Sanitario Nazionale e il Sistema Paese.

Sono queste le conclusioni del complesso lavoro realizzato da TEHA Group, società di The European House Ambrosetti, con il contributo non condizionante di Sanofi, confluite nel Position Paper “Rischio cardio-metabolico in Italia: il ritorno economico di un programma di screening della popolazione”, presentato oggi a Roma, nella Sala Perin del Vaga di Palazzo Baldassini nell’ambito dell’incontro “La prevenzione cardio-metabolica nei soggetti a rischio medio-alto. Il ritorno economico di un programma di screening di popolazione”.

L’evento è stato occasione di confronto e dialogo tra specialisti, medici di medicina generale, operatori sanitari di laboratorio, farmacisti, rappresentanti delle Associazioni dei pazienti, Società scientifiche e Istituzioni nazionali, sulla necessità e l’urgenza di attivare un programma di screening cardio-metabolico nella popolazione a rischio medio-alto, al fine di ridurre la probabilità di incorrere nel tempo ad un evento cardiovascolare maggiore (ictus e infarto), e non solo, con notevoli benefici in termini di salute e costi socio-sanitari.

Obiettivo del documento prodotto da TEHA Group è stato analizzare l’impatto economico della prevenzione in ambito cardio-metabolico, valutando sostenibilità ed efficacia di interventi di prevenzione primaria basati su screening mirati e trattamenti precoci. Il Paper che ne è scaturito evidenzia come un approccio preventivo possa non solo ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori, ma anche generare un ritorno economico positivo per il SSN e il Sistema Paese.

Le malattie cardiovascolari coinvolgono almeno 9 milioni di persone in Italia, con 670.000 dimissioni in regime ordinario, pari al 14% del totale, e quasi 221.653 morti, circa un terzo dei decessi registrati nell’anno 2022 (dati ISTAT). Numeri che pongono queste patologie al primo posto come causa di mortalità, di ricovero ospedaliero, nonché come principale causa di disabilità.

Secondo gli ultimi dati del Progetto Cuore dell’Istituto Superiore di Sanità, il 98% della popolazione italiana di età compresa tra i 18 e i 69 anni presenta almeno un fattore di rischio cardiovascolare tra ipertensione, ipercolesterolemia, diabete, sedentarietà, fumo, eccesso ponderale, scarso consumo di frutta e verdura; se l’ipercolesterolemia è fattore causale della cardiopatia ischemica, il diabete rappresenta il principale fattore di rischio per lo sviluppo delle malattie cardiovascolari e, allo stesso tempo, le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte nel paziente diabetico. Lo studio PASSI (ISS) rileva nel biennio 2022-2023 che il 41% della popolazione nella fascia 18-69 anni presenta almeno 3 fattori di rischio cardiovascolare.

È noto come i fattori di rischio aumentino la mortalità: secondo il Global Burden of Disease, il 75% dei decessi per malattie cardiovascolari è attribuibile a fattori di rischio. L’associazione tra i diversi fattori di rischio cardio-metabolici (eccesso ponderale e diabete, diabete e ipertensione arteriosa e dislipidemia) è nota da tempo, tanto che l’American Diabetes Association l’American Heart Association parlano di fattori di rischio cardio-metabolico con riferimento a iperglicemia, sovrappeso/obesità, pressione elevata e dislipidemia, perché strettamente correlati a diabete e a malattie cardiovascolari.

La prevenzione, elemento imprescindibile nelle politiche di contrasto alla diffusione delle patologie croniche, agendo su fattori di rischio modificabili, potrebbe ridurre del 34% la mortalità nella fascia 0-74 anni per i principali gruppi di malattie ed evitare fino all’80% dei decessi.

TEHA ha adottato l’algoritmo SCORE2 dell’European Society of Cardiology (ESC) come modello di stratificazione del livello di rischio cardio-metabolico, che ha permesso di quantificare la distribuzione del rischio nella popolazione italiana in età lavorativa tra i 40 e i 69 anni senza pregressi eventi CV: nel complesso circa 24,5 milioni di individui. Ne emerge che il 50,1% di questa popolazione è a rischio medio-alto: i soggetti a rischio alto rappresentano il 7,5% del totale, mentre quelli a rischio altissimo il 4,2%. Si registra, inoltre, una significativa differenza tra donne (28,6%) e uomini (72,4%), in virtù del fatto che nelle donne il rischio cardio-metabolico cresce significativamente dopo la menopausa. In aggiunta, la probabilità di andare incontro a un evento acuto nei successivi 10 anni è superiore nella popolazione ad alto rischio (10,9%) rispetto alla popolazione a rischio medio (6,2%) e basso (2,8%). Ai soggetti a rischio medio-alto è associato un costo annuale di 13,4 miliardi di euro, andando a considerare sia i costi sanitari diretti sia quelli indiretti legati alla perdita di produttività di questi soggetti e dei loro caregiver.

Considerato l’impatto dei fattori di rischio cardio-metabolico sulla mortalità evitabile, la prevenzione primaria rappresenta un elemento chiave per queste patologie. Ciò è ancor più evidente in un contesto di risorse economiche limitate e alla luce delle opportunità offerte dal New Economic Governance Framework (NEGF), che mira a promuovere gli investimenti pubblici in alcuni settori prioritari, tra cui la sanità pubblica e la prevenzione sanitaria, concedendo una maggiore flessibilità nella definizione della traiettoria di rientro del debito pubblico e/o del deficit (periodo di aggiustamento da 4 a 7 anni) ai Paesi Membri che decidono di includerli nei loro Piani di Medio Termine.

L’introduzione di un programma di screening per la prevenzione cardio-metabolica dovrebbe comprendere: un questionario sugli stili di vita e un pacchetto di semplici esami, quali misurazione della pressione arteriosa, glicemia per la valutazione dell’emoglobina glicata nel diabete, profilo lipidico e lipoproteina per la valutazione dell’ipercolesterolemia e, solo per i 65-69enni, un ECG. Tutto ciò consentirebbe di individuare la presenza di eventuali fattori di rischio e avviare i soggetti con un profilo di rischio medio-alto a un trattamento educazionale e/o farmacologico precoce, prevenendo l’insorgenza di eventi acuti, e non solo.

Considerando il rapporto tra i benefici derivanti dalla riduzione del rischio cardio-metabolico e i costi associati all’implementazione del programma di screening – dalle lettere di invito alla popolazione, al costo degli esami e del personale (SSN / farmacisti) – ne deriva un ritorno dell’investimento che varia tra 1,4 e 1,8 (1,6 nello scenario mediano), con un ritorno netto di 0,4-0,8 euro per ogni euro investito.

Si ottiene questo risultato ipotizzando una adesione allo screening da parte del 40% dei circa 18 milioni di italiani tra i 40-69 anni che rappresentano il target di questo programma – individui che non hanno avuto precedenti eventi cardiovascolari e non sono in cura per ipercolesterolemia e/o diabete, già inseriti in un percorso di presa in carico. Anche se non dovesse essere raggiunta la supposta soglia di adesione del 40%, le simulazioni mostrano che sarebbe sufficiente un’adesione dello 0,3% della popolazione target, pari a circa 70.000 persone, perché l’intervento sia economicamente sostenibile (ROI = 1).

Il ritorno economico è massimo nella fascia d’età più giovane (2,2 nei soggetti di 40-49 anni vs. 1,5 nei soggetti 50-59 anni vs. 1,3 nei soggetti di 60-69 anni) e nei soggetti con un più basso livello di rischio (5,7 nei soggetti a rischio medio vs. 0,5 nei soggetti a rischio alto), a conferma che più l’intervento è precoce maggiori sono i benefici ottenuti.

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