Il poliziotto severo e tutto d’un pezzo, autentico spauracchio della malavita milanese, era stato battezzato “Dondina” per il suo strano modo caracollante di camminare, andatura imputabile ad una imperfezione dei piedi.
Nacque nella nostra città nel 1839 e morì all’Ospedale Maggiore nel 1899 a seguito di una improvvisa emorragia cerebrale, dopo essere andato in pensione usufruendo di un importo davvero misero.
Da giovane, per la verità, la sua fedina penale non era proprio pulita, ma per scovare ladri e delinquenti era necessario conoscere le loro mosse, soprattutto la loro distorta mentalità. Ecco perché le autorità milanesi, a conoscenza di questo suo “fiuto”, stesero un velo pietoso sul suo passato per poi affidargli primi incarichi di prova.
Grazie ad una fitta rete di informatori riuscì, nel giro di pochi mesi, ad afferrare imbroglioni, truffatori e malavitosi. Dopo averli catturati in modo rocambolesco, li portava in guardina avviando con loro interrogatori davvero fuori dal comune.
Infatti, iniziava a parlare con voce calma e suadente, ma quando percepiva che gli imputati facevano discorsi intrisi di bugie e falsità, mollava certi ceffoni da indurre gli interessati a sincere confessioni nel giro di qualche ora. Insomma, da semplice appuntato era temuto molto più di un commissario.
Si narra che una banda di teppisti aveva preso di mira il quartiere in cui egli abitava (tra le vie Borromeo e Santa Maria Fulcorina), mettendo a soqquadro alcune botteghe, macchiando i vestiti dei passanti e malmenando un certo numero di osti dopo essersi rifiutati di pagare il conto.
Il Dondina, assieme alla sua squadra di poliziotti, riuscì a smascherarli, a colpirli con i suoi proverbiali “sganassoni” (cioè sberle ben assestate) e a imprigionarli. Va detto che la sua attività anti crimine, con il trascorrere degli anni, si affermava sempre di più e parecchi ladri e delinquenti cadevano nella sua impeccabile rete.
Ma un giorno, a seguito di certi ammodernamenti intervenuti nelle norme di polizia, entrarono nel suo ufficio tre alti funzionari provenienti dalla Centrale, i quali vollero sapere quali fossero i suoi informatori, sottolineando al tempo stesso che i metodi usati nel corso degli interrogatori dovevano intendersi radicalmente mutati.
El scior Dondina si rifiutò anzitutto di fare nomi affermando poi che il fattore più importante era per lui quello di arrestare i delinquenti. Si accorse ben presto che si stava svolgendo un dialogo con persone completamente sorde e prive di senso pratico. Senza spingersi oltre, volle subito presentare le proprie dimissioni dal servizio, andando in pensione con il miserevole importo di 35 lire al mese. Alla sua morte, diversi cittadini assistettero a suoi funerali, memori delle sue convinte e pressanti azioni contro la malavita.