sabato, Novembre 16, 2024
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Lotta ai tumori e tutela dei pazienti: le Associazioni chiamano a confronto i politici

di Stefania Bortolotti

Continua senza sosta l’impegno di Salute Donna Onlus e delle 17 Associazioni di pazienti oncologici e onco-ematologici che hanno dato vita a “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, un movimento di advocacy per la tutela dei diritti dei pazienti oncologici e onco-ematologici, divenuto interlocutore di riferimento a livello politico-istituzionale grazie al varo di un Accordo di Legislatura 2018-2023. Una piattaforma articolata in 15 punti che delineano ambiti e modalità operative per ottimizzare la presa in carico e garantire la massima efficacia della cura alla persona con malattia oncologica.

Un vero e proprio programma politico sull’oncologia che, in vista della prossima legislatura, è ribadito e rilanciato agli schieramenti politici in corsa per le elezioni: «migliorare la vita di milioni di persone che lottano contro il cancro è la ragione d’esistere delle nostre associazioni e l’obiettivo della nostra iniziativa – afferma Annamaria Mancuso, Presidente di Salute Donna Onlus – chiediamo dunque a tutti i politici che daranno vita alla prossima Legislatura l’impegno a riportare al centro delle politiche sanitarie e delle programmazioni istituzionali gli unmet need dei pazienti oncologici e delle loro famiglie».

All’attenzione dei politici che hanno partecipato al confronto sono state sottoposte 4 ampie tematiche, tra loro interconnesse, che racchiudono idealmente tutti i punti dell’Accordo, rappresentando quelle criticità del sistema sanitario del nostro Paese che incidono più pesantemente sui pazienti: disparità nella qualità dei servizi assistenziali tra regione e regione, sostenibilità economica, prevenzione primaria della malattia oncologica, carenza di risorse umane.

La marcata differenziazione di attività, risultati e qualità dell’assistenza sanitaria tra le regioni penalizza poco meno di 1 milione di cittadini italiani e riguarda sia le aree ad alta attività dove sono attivate cure non necessarie, sia quelle a bassa attività, con Lazio, Campania e Calabria ai primi posti, da dove le persone malate – e spesso anche le loro famiglie – sono costrette a spostarsi per ricevere cure adeguate. Inoltre l’accesso alle cure è ritardato da lungaggini burocratiche. Dopo l’approvazione dell’Agenzia Europea dei Medicinali passa almeno un anno per il riconoscimento nazionale e un tempo ulteriore, diverso da Regione a Regione, per mettere a disposizione dei pazienti le terapie innovative. «Sulle questioni di importanza fondamentale, come quelle che riguardano la cura dei pazienti oncologici – sottolinea Adele Leone, Presidente ACTO Bari (Alleanza Contro il Tumore Ovarico) – non devono esserci divergenze regionali così impressionanti come purtroppo ci sono oggi: il primo, fondamentale passo per livellare le diseguaglianze e limitare la mobilità passiva è l’applicazione dei PDTA (Percorso Diagnostico-Terapeutico Assistenziale) in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, così come auspicato dall’Accordo». Un fenomeno, questo della mobilità passiva, che ha una voce di spesa di oltre 4,3 miliardi di euro e che quindi incide negativamente sulla sostenibilità del sistema salute e, più specificamente, sulla consistenza del Fondo Sanitario Nazionale. Tema questo che catalizza le preoccupazioni delle Associazioni pazienti, dal momento che, se il Fondo scende sotto il livello di guardia del 6,5% del PIL fissato dall’OMS, come si prevede nel prossimo triennio, la regolare erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, insieme alla disponibilità delle terapie innovative ad alto costo, rischiano di essere fortemente a rischio. Su questo preoccupante aspetto, Felice Bombaci, Responsabile GAPLMC (Gruppo AIL Pazienti Leucemia Mieloide Cronica), rileva: «le terapie innovative, se da un lato comportano un alto costo, dall’altro consentono a sempre più persone di tornare alla vita produttiva e dunque a generare PIL. Esistono anomalie di gestione che vanno corrette: ad esempio, i fondi derivanti dal payback e dalle negoziazioni AIFA per volumi sul costo di farmaci che sono incamerati dalle Regioni ma spesso non ritornano al comparto sanitario».

Se la consistenza del Fondo Sanitario Nazionale desta comprensibili preoccupazioni sul futuro dell’assistenza medica, non di meno ne genera l’ormai annoso problema della carenza di risorse umane: mancano all’appello circa 47.000 professionisti del settore infermieristico (dati Ipasvi) e studi demografici indicano che fra qualche anno ampie fasce di popolazione potrebbero mancare del cosiddetto Medico di famiglia. Inoltre, come sottolinea Isabella Francisetti, Presidente AMOC onlus (Associazione Malati Oncologici Colon-Retto): «la carenza di risorse umane incide in modo determinante anche nella gestione degli screening, come quello per il tumore del colon retto e, a cascata, sulla vita dei pazienti: il numero limitato di  ambulatori di gastroenterologia  che eseguono colonscopie, esame necessario per diagnosticare la presenza di eventuali neoplasie, comporta una dilatazione dei tempi  delle liste di attesa e quindi una ricaduta negativa sulla prognosi della patologia».

Carenza che si converte in carichi di lavoro esasperati per gli operatori sanitari e minore attenzione nell’interazione con il paziente. Quello della comunicazione tra medico e paziente è un aspetto importante: una ricerca italiana ha stabilito che dedicare più tempo all’ascolto dei pazienti può accrescere del 30% l’efficacia di una cura, ma i pazienti sono interrotti in media dopo solo 18 secondi da quando iniziano a parlare. «La disponibilità all’ascolto e al feedback tra medico e paziente – afferma Patrizia Burdi, Presidente AISCUP (Associazione Italiana per lo Studio e la Cura del Paziente Oncologico) – ha un impatto positivo notevole sulla qualità di vita di entrambi, come attestato ormai da numerosi studi. Una comunicazione empatica non è un dono di pochi ma una competenza che tutti possono apprendere e che può contribuire alla riduzione dei costi dell’assistenza medica: è tempo che anche in Italia diventi uno specifico insegnamento nelle Scuole di Medicina».

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