di Carlo Radollovich
Gli archi dedicati all’imperatore francese, non ancora ultimati, furono portati a termine con evidente esclusione di quei tratti descrittivi che esaltavano la potenza d’Oltralpe. Infatti, quasi tutti i bassorilievi e le frasi altisonanti che decantavano la sua grandeur, vennero ovviamente modificati.
Porta Marengo riacquisì la vecchia denominazione e cioè Porta Ticinese, l’Arco del Sempione venne ribattezzato Arco della Pace in onore dell’imperatore austriaco Ferdinando, succeduto nel 1835 a Francesco I, suo padre.
Ma alcune costruzioni vennero edificate del tutto nuove: vedi Porta Comasina, ora Porta Garibaldi, progettata unitamente ai caselli daziari dall’architetto Giacomo Moraglia (tra le altre opere, ricostruì il palazzo Melzi di via Manin), gli interventi su Porta Orientale, ora Porta Venezia, dell’architetto Rodolfo Vantini, il quale decorò i caselli con bassorilievi raffiguranti episodi di storia milanese.
A proposito dei lavori relativi a Porta Comasina, va sottolineato che tutte le spese relative furono sostenute dai negozianti del quartiere per ricordare la visita a Milano, nel 1825, di Francesco I. Ciò sta a dimostrare che non tutti i ceti sociali odiavano l’Austria, anzi, non pochi elogiavano la correttezza amministrativa di Vienna, la creazione di asili per l’infanzia, degli ospizi per anziani, di ospedali, la cura dell’istruzione pubblica a fianco delle scuole dei padri Barnabiti. Certo, mancava l’instaurarsi di quelle libertà politiche e di stampa che affliggevano cuore e anima dei milanesi in parecchie circostanze.
La religione tornava a svolgere compiti importanti: addirittura venivano multati quegli osti che, di venerdì o durante la quaresima, servivano ai clienti piatti di carne o selvaggina. Ritorno ai tempi dell’Inquisizione? Di certo no, ma nemmeno venivano confermate certe dissacrazioni (o bestemmie) di cui si vantavano i vecchi giacobini.
Molte istituzioni religiose, soppresse dai francesi, furono ripristinate con specifiche proiezioni: risultare sempre di pubblica utilità.
Anche l’architettura religiosa si rianimava: si recuperarono diverse chiese sconsacrate, si restaurarono le basiliche di Sant’Ambrogio e di San Simpliciano nonché la chiesa della Madonna del Carmine e quella di San Tommaso. Nasceva la nuova chiesa di San Carlo al Corso tra il 1832 e il 1847, la cui piazza e il colonnato destarono ammirazione.
Ma anche l’edilizia cittadina, non priva di una certa eleganza, si fece avanti gradualmente. I vecchi milanesi adoravano la galleria De Cristoforis (vedi foto), costruita nel 1832 tra piazza San Carlo e quella di San Babila (demolita, purtroppo, alla fine dell’Ottocento), che consentiva un elegante passeggio al riparo dalla pioggia, una sorta di “struscio” intervallato tra visite ai negozi e… bevutine presso i numerosi caffé. All’ingresso della galleria spiccava il seguente cartello: “Al commercio, alla comodità e al decoro pubblico, questa galleria i De Cristoforis eressero col disegno dell’architetto Andrea Pizzala nel 1823”.