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L’ARMISTIZIO DI VIGNALE E LA PACE DI MILANO (6 AGOSTO 1849)

di Carlo Radollovich

 La Imperiale e Regia Gazzetta di Milano del 7 agosto 1849 informava i lettori che “Cento colpi di cannone hanno annunziato agli abitanti di Milano che la pace fra Austria e Piemonte è stata sottoscritta dai plenipotenziari di ambedue le parti”.

Il trattato chiudeva l’amara avventura sardo-piemontese e la fine della prima Guerra d’indipendenza dopo la disfatta di Novara (23 marzo 1849).

Ma prima di intrattenerci sulla comunicazione che annunciava la pace, è doveroso ricordare i tristi giorni che iniziarono con l’armistizio di Vignale del 26 marzo 1849, che l’Austria fissava in sei punti ben precisi e cioè: 1) Il re di Sardegna deve adoperarsi per la conclusione di una pace definitiva. 2) Scioglimento dei Corpi dell’esercito sardo costituiti con l’apporto di sudditi dell’impero austriaco (Lombardi, Polacchi, Ungheresi). 3) Occupazione austriaca dei territori tra Po, Sesia e Ticino nonché metà della piazza di Alessandria. 4) Ritiro delle truppe sarde dai ducati di Parma e Modena. 5) Ritiro della flotta sarda dall’Adriatico. 6) Riduzione dell’esercito sardo come convenuto.

Il giovane re Vittorio Emanuele II, pur accettando le clausole dell’armistizio, era tuttavia riuscito a dissuadere il maresciallo Radetzky dalla ventilata marcia su Torino. Ma una corrente estremista di parlamentari, con a capo Angelo Brofferio, intendeva concretamente reagire allo strapotere austriaco, come se un esercito appena uscito dalla disfatta novarese fosse in grado di competere con le armate di Vienna, tecnicamente assai agguerrite.

In ogni caso, i generali Heinrich von Hess e Josef Radetzky decisero di non occupare Alessandria, come la terza clausola dell’armistizio avrebbe loro consentito, e ciò fu interpretato, erroneamente, come un segno di ammorbidimento da parte austriaca.

Il 13 aprile iniziarono a Milano le trattative per la pace. Gli austriaci avevano delegato il ministro Karl Ludwig De Bruck, i piemontesi il generale Giuseppe Dabormida e il magistrato Carlo Boncompagni: due sorci tra le grinfie del gatto.

Dal 13 al 24 aprile i delegati sardi lottarono con convinzione contro il duro De Bruck, senza ottenere risultati positivi. Dal 25 aprile, sino al 3 giugno, le trattative vennero interrotte.

I toni espressi dall’Austria si facevano sempre più marcati mentre i piemontesi, tra l’altro, volevano giustamente avere salvo l’onore nazionale, l’integrità territoriale e la conservazione della Bandiera nazionale. Scriveva il 25 aprile Roberto Taparelli d’Azeglio, fratello maggiore dell’illustre senatore Massimo: “ Il ne nous reste plus que à souhaiter plaies et bosses pour tout le mond “ (non ci resta che auspicare di diventare attaccabrighe attraverso tutte le nazioni).

E i sardo-piemontesi si convinsero finalmente ad imboccare la via diplomatica, chiedendo la mediazione delle grandi potenze. Le potenze occidentali, preoccupate per l’intervento russo in Ungheria, effettuato per domare in loco la rivoluzione, desideravano in sostanza che pericolosi focolai di guerra non si accendessero; e comunque volevano che Vienna non desse segnali di grande vittoria contro il regno sardo-piemontese.

I negoziati furono ripresi il 20 di giugno e in data 16 luglio fu inserito un eccellente diplomatico, Carlo Beraudo conte di Pralormo, peraltro ben visto dagli austriaci essendo stato rappresentante del Piemonte a Vienna dopo il 1821. Il tono delle discussioni si attenuò e fu ottenuta l’amnistia a favore dei fratelli lombardi, senza la quale si sarebbe rischiata una nuova interruzione delle trattative  E il 6 agosto 1849, alle ore 22 precise, i plenipotenziari furono in grado di apporre le proprie firme in calce al protocollo definitivo.

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