venerdì, Novembre 8, 2024
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La favola di Vincenzino

Ci troviamo ai tempi dei Longobardi e si narra che uno dei re, probabilmente Tatone, che regnò dal 500 al 510, amava confondersi tra la popolazione, vestito da contadino, per verificare se i propri sudditi vivessero in un certo benessere oppure no.

Al sovrano capito’ di essere ospitato da una famiglia assai povera, ma accolto così amabilmente che restò assai stupito per l’amabilità con cui fu ricevuto. Si fece riconoscere e disse al padre di una nidiata di figli, tra cui Vincenzino: “Regala i denari che ti do’ al tuo primogenito. Fallo studiare e poi mandalo da me a Corte con questa lettera di presentazione”.

Gli donò pure una cavalla molto giovane, una giumenta, che il ragazzo avrebbe utilizzato per il suo futuro viaggio. Dopo alcuni anni di studio, Vincenzino era pronto a partire. Tuttavia, prima di lasciare la famiglia, il padre gli disse: “Durante il viaggio dovrai prestare molta attenzione ai giovani claudicanti, ai gobbi e alle persone dai capelli rossi.”

Dopo un’intera giornata a cavallo, il giovane volle cenare e pernottare presso un’osteria, senza accorgersi che il titolare della locanda era zoppo, perché riusciva a mascherare molto bene questa sua imperfezione. Trascorsa la notte, Vincenzino si accorse che dalla sua borsa mancavano diversi denari. Incolpò l’oste, ma questi giurò di non saperne nulla.

Riparti’ assai amareggiato per la sua seconda giornata di viaggio. Sostò per la notte presso una bettola, ma anche in questo caso non si accorse che il titolare era gobbo. E restava purtroppo la constatazione che il mattino seguente, dopo aver saldato il conto, della sua cavalla si erano perse completamente le tracce.

Litigò con il titolare della bettola, ma questi rispose di non esserne assolutamente responsabile. Si ricordò delle raccomandazioni del suo babbo, ma ormai era tardi per poter rimediare. Vincenzino prosegui il suo viaggio a piedi con la lettera di presentazione nella tasca del suo giaccone. Si fermò verso sera presso una fontana e chiese un bicchiere d’acqua per potersi dissetare.

L’acquaiolo, con un cappellaccio ben calcato sulla testa, pretese alcuni centesimi per il servizio prestato. Vincenzino, abbastanza stanco, si stese sull’erba, si cavo’ il giaccone e schiacciò un pisolino di pochi minuti. Al risveglio, si accorse che la lettera non era più nel giaccone. L’acquaiolo se n’era partito di tutta fretta, abbandonando il suo cappellaccio a terra, dal quale emergevano sparsi alcuni capelli rossi…

Il giovane, con la morte nel cuore, non volle ritornare dai suoi, ma si presentò al palazzo reale senza farsi riconoscere e implorando di ottenere un lavoro, seppure umile. Fu subito destinato, riconoscente, al pascolo di un gregge di capre. Dopo alcune settimane, di domenica, si celebrava a Corte un importante torneo e Vincenzino decise di iscriversi, attratto anche dalla eventuale possibilità di sposare, se vincitore, la principessa.

Il torneo fu decisamente estenuante, ma il giovane risultò alla fine primo assoluto. Appena ritirato il premio, senza levarsi l’elmo, decise che una persona di povere origini come lui non avrebbe potuto ambire a sposare la figlia del re. Se ne tornò a piedi verso casa, ma il sovrano, felicissimo per la sua prestazione al torneo, lo fece cercare dappertutto dalle sue guardie.

Dopo averlo rintracciato, si fece spiegare il motivo della sua fuga e, fattosi riconoscere, venne apprezzato ancora di più. La principessa aveva già adocchiato la sua splendida figura di uomo durante il torneo e chiese al padre di poterlo frequentare. Dopo poche settimane si celebrarono le nozze mentre l’acquaiolo (almeno lui) fu denunciato e incarcerato.

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