Premettiamo che il suo vero nome è Vittoria Maria Rossi. Nasce a Roma da famiglia agiata e, durante il liceo, si appassiona allo studio delle lingue. Grazie ad una sua particolare qualità, riuscirà, entro tempi relativamente brevi, ad esprimersi in francese, inglese, tedesco e russo.
Giovanissima, incontra un affascinante ufficiale, Gasparo del Corso, il quale ama profondamente l’arte e vorrebbe spesso viaggiare. Scatta subito qualcosa nell’animo di Irene e, dopo poche settimane di corteggiamento, accetta di convolare a giuste nozze. Dopo la cerimonia, viaggiano spesso in Toscana e in altre regioni, ma, allo stesso tempo, matura in lei il desiderio di scrivere.
Compone novelle e scrive articoli ricchi di talento. Se ne accorge l’editore Leo Longanesi, il quale, resosi conto delle sue capacità, le offre di collaborare con il settimanale “Omnibus”.
Sarà proprio lui a battezzarla con lo pseudonimo “Irene Brin”, nome che Vittoria Maria accetta.
Grazie al suo stile particolarmente brillante e piacevole, Irene si fa conoscere presso numerose testate. Ad esempio, il Messaggero, il Mattino di Napoli, il Corriere della Sera per poi passare alle riviste (l’Europeo, Annabella e altre ancora), ospitano volentieri suoi commenti o considerazioni.
Irene Brin scrive anche libri, il più divertente dei quali è senz’altro “Usi e costumi – 1920/1940”, ove mette in luce uno stile garbatamente ironico. Qui si occupa di certe futilità del mondo femminile che precedono il secondo conflitto mondiale, attacca diverse frivolezze e alcune manie (pettegolezzi, indiscrezioni, eccetera) al centro del mondo borghese.
Lei da’ pure uno sguardo al mondo della moda, alle disegnatrici di questo settore e inserisce sempre importanti annotazioni che dipingono, sempre con arguzia e qualche sberleffo, un’epoca che giudica un po’ strana.
Nel libro “Le protagoniste” prende in giro le donne eccentriche, in particolare quelle dell’alta società che incarnano molti miti, ma al tempo stesso permeati di parecchi vuoti.
Quando Irene percepisce di essere ammalata (le analisi riferiranno chiaramente che la sua malattia è inguaribile), non si da’ per vinta, ma, al rientro da un viaggio all’estero, non è in grado di proseguire sino a Roma. Si ferma a Sasso, in provincia di Imperia, e qui si spegne nel maggio del 1969.