di Antonio Barbalinardo
La storia del nostro Paese di quarant’anni fa ci porta alla memoria che l’Italia si trovò a difendersi dalla violenza della destra stragista e della sinistra rivoluzionaria. Oggi viviamo un momento di diversa violenza, con un nemico invisibile qual è il Covid-19. Allora il nemico era identificabile, oggi è silenzioso e sconosciuto e i ricercatori scientifici cercano di scoprirlo per colpirlo.
Il 1°aprile cadrà la ricorrenza dell’assalto fatto nel 1980, da parte delle brigate rosse della “Walter Alasia” presso la locale Sezione della Democrazia Cristiana di via Mottarone, 5 nella zona della Cagnola di Milano, dove furono feriti Eros Robbiani segretario della sezione; Antonio Iosa presidente del Circolo Culturale Carlo Perini; Emilio Be Buono direttore del Circolo Culturale Prealpi e l’onorevole Nadir Tedeschi membro del Consiglio Nazionale della DC.
In memoria di quegli avvenimenti ho rivolto alcune domande all’onorevole Nadir Tedeschi ultimo testimone vivente di quell’assalto.
Onorevole Nadir Tedeschi, si può presentare?
Sono nato a Badia Polesine (Rovigo) l’11 agosto 1930, il 3 maggio 1954 sono stato assunto alla Olivetti dell’Ing. Adriano. Dopo ho fatto la mia carriera partendo dai primi calcolatori elettronici. La passione per la politica è scattata in me l’8 settembre 1943 a 13 anni, la sera che credevo fosse la fine della guerra, invece sono iniziati i 20 mesi della Repubblica di Salò. Quella passione a 90 anni è ancora dentro di me.
Fra pochi giorni ricorrerà il 40° anniversario dell’assalto delle brigate rosse alla Sezione DC in via Mottarone, 5 a Milano. Cosa ci può dire di tale assalto?
Era il 1° aprile, il giorno dopo avevo in programma di partire con moglie e figli per Badia Polesine per fare la Pasqua con i nostri genitori. Ogni sera dopo il lavoro passavo per via Nirone 15 sede della DC allora, per la mia normale attività politica, ero impegnatissimo. Anche quella sera non andai a casa per la cena. Avevo preso l’impegno di essere alle nove in via Mottarone 5 alla Sede della DC Sezione “Luigi Perazzoli”; dovevo parlare agli iscritti del Congresso Nazionale svolto a Roma a febbraio, che aveva visto il passaggio dalla Segreteria di Benigno Zaccagnini alla Segreteria di Flaminio Piccoli.
Già dall’inizio dell’anno erano stati colpiti a morte alcuni Agenti della Pubblica Sicurezza e anche il magistrato Guido Galli, quella sera non si sentiva a disagio, non aveva paura di quel pesante clima di violenza?
Io conoscevo il clima, ero stato in diversi ospedali a trovare amici gambizzati, la Polizia mi aveva avvertito di stare attento quando tornavo a casa alla notte, ma non mi aspettavo che fosse quella sera con il deserto a Milano, pertanto non avevo una particolare paura. Sapevo anche del magistrato Galli, il clima era questo e poi durante il caso Moro del ʼ78 ero parlamentare a Roma e quindi sul terrorismo e le Brigate Rosse ero bene informato. La brigata di quella sera era una brigata nuova la “Walter Alasia” che diventò progressivamente famosa.
Dopo il momento di sofferenza fisica e psicologica, quale è stato il suo pensiero su quanto era successo a Lei e alle altre vittime coinvolte nell’assalto in via Mottarone?
A me è andata bene, otto pallottole, ma nessuna pericolosa per tendini o arterie, solo 4 fratture. Mi impegnai a fondo per guarire con sei mesi di riabilitazione. La mia famiglia aveva bisogno anche del mio lavoro, perciò mi impegnai per la convalescenza.
Dopo lo scoraggiamento dovuto a quel tragico momento vissuto non ha pensato di abbandonare l’impegno politico?
No, anzi decisi di non mollare il mio impegno politico, con la volontà di fare di più per salvare la Democrazia.
Cosa si sente di dire sulle altre persone che sono state coinvolte quella sera nell’attentato, persone che hanno continuato l’impegno politico e culturale?
Con i tre amici e le loro famiglie ho sempre tenuto contatti fino alla loro morte, orgoglioso per avere avuto amici come loro che hanno continuato impegno e missione. I miei tre amici di quella sera si erano comportati bene prima e anche dopo. Credo che tutti gli amici della DC siano stati orgogliosi di loro.
Onorevole Tedeschi, cosa pensa dei terroristi che allora hanno commesso atti tali da colpire nel fisico e nell’anima non solo le vittime, ma anche i familiari, mentre oggi alcuni di loro addirittura salgano in cattedra a dare lezioni di quel periodo?
I nostri brigatisti li ho visti in faccia al processo anni dopo, e di loro avevo allora e anche oggi, una considerazione pessima e spiego il perché. Le Brigate Rosse erano allora in parte sostenute da una certa pubblica opinione. Da Toni Negri in giù o in su, erano state prodotte teorie che sconvolsero mente e cuori di molti giovani. Al processo di quelli della “Walter Alasia” erano 119. Con volti coperti e armi automatiche puntate sembravano invincibili. Visti dopo qualche anno di prigione e a volto scoperto, erano dei giovani montati da cosiddetti intellettuali e mi apparvero dei poveretti di una ignoranza politica totale.
Nel suo lungo percorso di vita e di impegno ha incontrato qualcuno del gruppo terroristico che l’ha colpito o che ha colpito qualche persona di sua conoscenza?
No, non ho conosciuto nessuno. Uno di “Prima Linea” per caso, un poveretto senza capo né coda. Il comandante Silvio l’ho visto da lontano mentre faceva servizio da don Mazzi e alla notte tornava in prigione e non mi ha fatto né rabbia né pena.
Dopo quarant’anni con la sua maturità ed esperienza di vita si sente di perdonare chi ha colpito Lei e anche altre vittime di terrorismo?
Hanno sbagliato e basta, rimangano nel loro brodo e gli auguro questo sì, di trovare la fede in Dio prima di morire. Perdono cristiano sì. Perdono per quello che hanno fatto no. Devono pagare secondo le leggi dello Stato che volevano abbattere.
Grazie Onorevole Nadir Tedeschi per questa sua testimonianza, lei ultimo testimone vivente di quell’assalto terroristico del 1° aprile 1980, che non fu uno scherzo del cosiddetto pesce d’aprile, ma vere pallottole che vi colpirono. Con l’occasione desidero riferire il titolo del suo interessante libro di testimonianza “Nadir Tedeschi risponde a Roberta Zambianchi – Dialogo sull’Italia degli anni di piombo” edito nel 2011.