di Ugo Perugini
Mostra all’Art Gallery 38 di via Canonica 38 dall’8 al 28 aprile. Dipinti e calcografie
Svizzero, nato a Winterthur, Leonardo Pecoraro, deve molto della sua creatività al nostro Paese. Ha studiato a Milano (Brera) e a Ravenna. Pittore, mosaicista, incisore, scultore, risiede tra Canton Ticino e Canton Berna ma non dimentica l’Italia. Il suo approccio all’arte è quello di un vero artigiano che gode nel confrontarsi con la materia, che usa la sua tecnica raffinata per scovare nella fisicità dei colori, delle sostanze che manipola, la vera essenza espressiva della sua arte.
Nella mostra che si apre domani all’Art Studio 38 di via Canonica, 38 un assaggio significativo delle sue opere pittoriche oltre ad esempi di calcografie e mosaici, altrettanto interessanti.
Le opere di Leonardo Pecoraro, anche se la sua ricerca sfugge a qualsiasi regola o convenzione tendendo a un’idealità astratta, mostrano quasi sempre un desiderio di ancoraggio alla realtà. Forte, possente. Ma che infonde tutt’altro che sicurezza. Un riferimento lineare, stazionario, quasi immancabile stilema del suo procedere creativo, dal quale, sul quale e oltre al quale egli vuole modulare i suoi miraggi visivi.
E’ il limite che egli si pone, per superarlo o avvicinarlo in una sorta di ricerca senza pause, fatta con l’illusione vana di attraversarlo e oltrepassarlo, persino. Ahi, l’impotenza tridimensionale che castra la mano e il pennello! Sotto sotto, cova una hybris, che, come nota un critico spagnolo (Carlos Enriquez Garcia Lara), è un termine polisemico che contiene due valori, l’eccesso, cioè il superamento della capacità di sintesi e la ricerca di un’emozione che supera la funzione sublimante dell’arte, e l’insolenza, intesa come azione irriverente spinta a infrangere certi tabù tematici e stilistici.
L’ansia, se non l’angoscia, di chi osserva le sue opere sta proprio in questa sorta di battaglia interiore che sconvolge l’artista, il quale avvicina o allontana, a seconda dei casi, le sue fantasmatiche visioni, globulari, evanescenti, filiformi, eteree, servendosi della materialità schizoide dei colori che lasciano strie, defluiscono, riverberano, ora incerte, languenti come tracce sulla tela, gocciolanti, stranianti. E’ un mondo in certi casi lattescente, fatto di memorie negate, forse, di ricordi abbandonati ma ancora in grado di sollecitare nostalgie, desideri, speranze. Siamo in un interregno, forse in quell’intervallo di tempo che l’artista coglie, in quella parvenza di eternità che filtra nello svolgersi della nostra esistenza.
Insomma, “leggendo” le opere di Leonardo Pecoraro con attenzione e pazienza ci si accorge che stiamo pescando nel nostro “io” più profondo, e ci vediamo immagini tutt’altro che pacificatrici. Forse addirittura l’eco di una lotta. Che altro non è che il travaglio nel quale riconosciamo i nostri sforzi di elevarci dalla materialità che ci tiene, appunto, ancorati alla terra, dal tempo che ci lega all’oggi, mentre cuore e animo vorrebbero volare via. E il dolore che ci schiaccia rappresenta il limite umano al quale siamo indissolubilmente legati. Un limite da riconoscere ma anche da beffare, ogni volta che si può.