venerdì, Novembre 15, 2024
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Il rischio di sviluppare il diabete dipende anche dall’ambiente

Le sfide di salute e quelle “ambientali” si alternano tra i temi più ricorrenti nel dibattito della comunità scientifica e nelle agende politiche ormai da diverso tempo…

…Eppure, nonostante le interazioni tra di esse siano state ampiamente dimostrate dalla letteratura e dall’evidenza empirica, nella maggior parte dei casi questi due filoni continuano a viaggiare su binari paralleli.

Il Position Paper “Innovazione, Salute e Sostenibilità nell’ambito del diabete”, realizzato da The European House – Ambrosetti con il contribuito non condizionante di Novo Nordisk e presentato nei giorni scorsi a Roma nella cornice dell’Istituto Luigi Sturzo, ha esplorato queste interconnessioni, da un lato mettendo in guardia rispetto ad uno scenario socio-demografico e un contesto ambientale sempre più critici in cui le patologie a più alto impatto sistemico come il diabete continuano ad aumentare, dall’altro sottolineando che solo agendo sui fattori di rischio alla base di queste patologie, in gran parte modificabili, e sfruttando le nuove tecnologie e innovazioni è possibile invertire o almeno frenare questa tendenza.

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Il 24% del carico di malattia a livello globale deriva dall’esposizione a fattori di rischio ambientali, che ogni anno causano più di 13 milioni di decessi nel mondo. D’altra parte, gli stessi sistemi sanitari, anche a causa dei crescenti bisogni di salute, sono parte attiva del processo, producendo il 4,4% delle emissioni globali di gas serra e generando una serie di impatti che, sommati, li renderebbe nel complesso il 5° Paese al mondo per CO2 emessa.

Lavorare al contrasto o alla mitigazione dei fattori di rischio, guardando non solo all’inquinamento atmosferico ma anche a inquinamento acustico o luminoso, disponibilità di servizi e prodotti alimentari di qualità o impianti sportivi e coinvolgendo tutti gli stakeholder, dai medici ai pazienti, dai regolatori alle aziende produttrici, genererebbe non solo benefici per il Pianeta ma anche per chi lo abita. Soprattutto per le patologie a più alto impatto, sia in termini di sulla salute pubblica, riducendo mortalità e disabilità, ma anche di costi. Il diabete, che costa ogni anno 20 miliardi di euro al nostro sistema sanitario tra spese dirette (9 miliardi, pari a 2.800 euro pro capite) e indirette (11 miliardi), è una delle patologie croniche maggiormente condizionate sia in fase di insorgenza che nella progressione dai fattori di rischio modificabili. Basti pensare che la presenza di servizi di mobilità attiva riduce la probabilità di insorgenza del diabete del 25% quando combinata con una riduzione delle emissioni di CO2, così come la riduzione di fattori stressanti ha un impatto nel decorso della patologia diabetica.

Angelo Avogaro, Presidente della Società Italiana di Diabetologia nonché Presidente della Federazione delle Società Scientifiche di Diabetologia, intervenuto nel corso dell’evento, ha ribadito il fatto che: “Il ruolo dell’ambiente e dei cambiamenti climatici è sempre più rilevante come causa dell’insorgenza delle malattie croniche non trasmissibili come diabete e cancro. Questo nesso implica la necessità di una sensibilizzazione sempre maggiore sia delle istituzioni sia di tutti gli stakeholders della sanità. Oggi modificare il contesto ambientale necessita di investimenti necessari per prevenire la malattia e preservare il cittadino in uno stato di benessere psico-fisico. Spendere per curare ma anche investire per prevenire.”

Se l’urbanizzazione incontrollata limita gli spazi percorribili a piedi e la connettività sociale, oltre a incentivare abitudini e lavori sedentari, una pianificazione attenta fatta di politiche abitative, di mobilità, sociali e occupazionali efficaci, può rendere la città uno spazio adatto a coltivare abitudini più salutari. Già oggi 1,2 milioni di diabetici italiani vivono nelle Città Metropolitane, un numero destinato ad aumentare nel prossimo futuro. Perché queste politiche siano efficaci serve tuttavia una visione integrata. In caso di elevati tassi di inquinamento atmosferico, primo fattore di rischio ambientale per le patologie cardio-metaboliche, anche i benefici generati dalla cosiddetta “walkability”, ovvero la pedonalità e la disponibilità di spazi verdi in città, infatti, si annullano.

Alla camminabilità, indicatore incluso anche nella classifica recentemente pubblicata sulla qualità della vita delle diverse province italiane, si aggiungono altri fattori rilevanti come la disponibilità di servizi alimentari di qualità, adeguati a uno stile di vita attivo e sano, ma anche le condizioni abitative, la stabilità economica ed emotiva, l’esistenza di una rete relazionale:  vivere in una condizione di solitudine espone a un rischio del 20% più alto di sviluppare il diabete rispetto a chi convive, anche quando la relazione non è perfettamente armoniosa.

Come puntualizza Daniela Bianco, Partner e Responsabile dell’Area Healthcare di The European House – Ambrosetti, infatti “La nostra salute è in gran parte il risultato dei comportamenti e del contesto in cui viviamo lungo tutto il corso della vita, sin dal momento del concepimento. Comprendere questa relazione significa poter intervenire per prevenire, intercettare tempestivamente e gestire in maniera efficace le diverse patologie che sono determinate da questi fattori.”

In questo contesto, che si declina con minore o maggiore gravità a livello regionale e locale, a causa delle profonde differenze socio-economiche e culturali che caratterizzano l’Italia, nelle dimensioni di HTA la sostenibilità ambientale e la qualità della vita sono ancora poco rilevanti. D’altra parte, le Linee Guida AIFA raccomandano di includere nella valutazione delle tecnologie sanitarie anche i costi indiretti in un’accezione ampia, ricomprendendo anche gli impatti ambientali, offrendo un importante punto di partenza. Il Position Paper, che ha beneficiato del contributo di un gruppo di esperti multidisciplinare riflette così sulla progressiva apertura al ripensamento e alla sperimentazione di processi di produzione e distribuzione innovativi, di modelli di utilizzo e di smaltimento dei farmaci e dei dispositivi medici più sostenibili, sottolineando la necessità di riconoscere tecnologie sanitarie che oltre a garantire efficacia e sicurezza tutelino l’ambiente e contribuiscano a migliorare la qualità di vita dei pazienti.

Secondo Francesco Saverio Mennini, esperto in economia sanitaria presso il Ministro della Salute e Direttore del gruppo di ricerca sull’Economic Evaluation e HTA del Centro di Studi Economici e internazionali di Tor Vergata: “Per concretizzare il concetto di salute in un’ottica One Health e come Investimento servono alcune azioni (caratteristiche dell’HTA), quali: misurare non solo la singola prestazione ma il risultato di tutto il percorso di cura, tenendo conto dei costi evitati e dei vantaggi in termini economici, sociali ed ambientali; misurare la spesa non su un anno ma su un periodo più lungo per valutare l’efficienza dei percorsi di cura, similmente a quanto si fa per gli investimenti. Misurare e valutare devono diventare i pilastri di riferimento.”

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