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I SOGGIORNI MILANESI DI MOZART

di Carlo Radollovich

Il grande musicista Wolfgang Amadeus (1756 – 1791) si recò in Italia nel corso di tre lunghi viaggi: il primo durò dal dicembre 1770 al marzo 1771, il secondo dall’agosto 1771 al dicembre dello stesso anno, il terzo dall’ottobre 1772 al marzo 1773.

E’ opportuno notare che, in occasione di tali viaggi, sostò a lungo a Milano.

Arrivò per la prima volta da noi il 23 gennaio 1770 e il padre Leopold, che lo accompagnava, era ansioso di far conoscere le eccezionali doti musicali del proprio figlio “nella città più musicale d’Europa”. In effetti, anche se il Teatro alla Scala non esisteva ancora (venne inaugurato otto anni più tardi), il Teatro Regio Ducale attirava sempre più spettatori. Va ricordato che Milano era da tempo al centro dell’attenzione di artisti assai noti e di impresari teatrali. Il governatore austriaco della Lombardia nonché ministro plenipotenziario, Carlo Giuseppe conte di Firmian, era stato avvertito in anticipo della visita dei due Mozart e dispose affinché alloggiassero presso il convento degli Agostiniani, a fianco della chiesa di San Marco. Una lapide, sull’edificio di sinistra, ricorda ancora oggi il loro soggiorno milanese.

Il giovane Wolfgang, quattordici anni appena compiuti, volle scrivere quasi subito alla sorella Maria Anna sottolineando che aveva da poco terminato di comporre un’aria del Demetrio. Qualche giorno più tardi riprese la penna: “Di Milano non posso scriverti per ora gran che. So che si svolgono qui molte feste da ballo. Volevo anche dirti che la governante del conte Firmian è viennese e che venerdì abbiamo pranzato da lei; domenica prossima saremo ancora suoi ospiti.” Quella domenica, Wolfgang ricevette in regalo una lussuosa edizione, rilegata, delle opere del Metastasio. Dopo pranzo si mise al piano e tutti gli invitati rimasero piacevolmente sbalorditi dal suo tocco sensibile e particolarmente deciso. Alcuni giorni dopo si preparò per dare un concerto, sempre a Milano, e papà Leopold scrisse a Maria Anna: “Vedremo come andrà. Noto con soddisfazione che qui c’è più curiosità e intelligenza rispetto a casa nostra e che gli italiani sanno riconoscere il valore del ragazzo”.

I due partirono poi per Parma, Bologna, Roma e Napoli per fare ritorno a Milano il 18 ottobre del 1770. Il giovane Wolfgang si era fatto, in pochi mesi, quasi un uomo, e rientrava nella nostra città con il titolo di Accademico Filarmonico e cavaliere Speron d’Oro. Insomma, aveva già assunto la carica di personaggio ufficiale, altolocato.

Va detto che in quell’anno, durante l’estate, si era dato particolarmente da fare affinché la sua opera Mitridate del Ponto potesse essere rappresentata a Milano il giorno di Santo Stefano. Scrisse alla mamma: “Non posso scriverti a lungo perché le dita mi dolgono. Prega per me affinché l’opera vada bene. Spero che presto ci si possa felicemente rivedere”. Intanto le prove in teatro si susseguivano instancabilmente e la gente pensava che fosse impossibile per un ragazzo, di lingua tedesca oltre tutto, comporre un’opera tutta italiana. Ma l’opera riscosse grande successo ed egli scrisse subito alla sorella: “Tutto è andato bene e l’opera è piaciuta: ha suscitato le meraviglie di tutti”. In effetti, gli applausi furono scroscianti al grido di “Viva il maestrino”.

Il 4 marzo 1771 i due Mozart rientrarono a Salisburgo, ma ad agosto giunsero di nuovo nella nostra città. Scrisse a Maria Anna: “Abbiamo sofferto un gran caldo durante il viaggio. Persone milanesi mi dicono che non piove da un mese. Mi sto rinfrescando mangiando buone pere, pesche e meloni”. Nemmeno il tempo di prendersi una breve vacanza perché, in occasione del matrimonio del granduca Ferdinando, gli venne chiesto di comporre un’opera di circostanza, Nel giro di soli dodici giorni riuscì a musicare Ascanio in Alba, un’allegoria mitologica su libretto di Giuseppe Parini. Un limpido successo anche in questo caso. Ed eccoci al suo terzo viaggio italiano (dall’ottobre 1772 al marzo 1773), in pratica un vero e proprio soggiorno milanese. Compose una nuova opera, Lucio Silla, su libretto di Giovanni de Camera, ricevendo applausi meno intensi rispetto a Mitridate del Ponto, ma comunque riscosse buoni risultati dalla critica. Ed eccoci alla sua ultima lettera milanese, scritta questa volta in italiano, con due soli errori d’ortografia: “Perdonate la mia cativa scritura, la penna non vale un corno. E’ impossibile che io scriva meglio, perché la mia è una penna per scriver musica e non parole”.

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