di U. P.
Molti giovani, anche se sono pronti a dare il loro contributo alla società, avendo i titoli necessari, hanno molta paura del mondo del lavoro. Non è una cosa assurda. Ne parlo per esperienze dirette. I giovani non conoscono questo mondo e lo temono. D’altra parte, bisogna dire che la scuola non fa molto per accompagnarli nella scelta.
La scuola in Italia resta uno dei pochi paesi in cui primaria e secondaria durano in totale 13 anni. All’università ci si arriva a 19 anni e ci si laurea, secondo la durata dei corsi, a età che vanno dai 25 ai 27 anni, fatto salvo qualche ritardo per incidenti di percorso.
Con Luigi Berlinguer all’Istruzione nel 2000 si voleva istituire una scuola di base della durata di sette anni, unificando elementare e media inferiore, ma il successivo governo Berlusconi bloccò tale legge, affidando alla Moratti prima e alla Gelmini poi il dicastero e lasciando immutata la durata.
A parte queste considerazioni, la scuola in Italia resta troppo spesso astratta. Gli studenti non fanno mai esperienze pratiche, tirocini, apprendistato, lavori estivi (la recente proposta del Ministro Poletti di ridurre le vacanze, con l’idea di dedicare un mese alla formazione, lo ricorderete, ha suscitato negative reazioni da molte parti). Siamo conservatori in tutto, non c’è che dire!
E in questo modo i giovani italiani (per fortuna non tutti!) si fermano per più tempo sul percorso formativo, perdono di vista il mondo del lavoro, finendo “parcheggiati” in attesa di fare un’esperienza in questo ambito che, comunque sia, sarebbe decisamente molto utile e formativa.
In Italia, in altre parole, nonostante qualche lodevole tentativo locale, sono mancati efficaci modelli di incontro tra domanda di competenze e offerta formativa, non è stato affrontato con serietà il problema dell’abbandono scolastico, non sempre è stata premiata la professionalità degli insegnanti e valorizzata adeguatamente l’autonomia delle istituzioni educative.
Eppure, ciononostante, abbiamo giovani preparati che il mondo ci invidia, insegnanti che, in mezzo a mille difficoltà, non lesinano passione e competenza nel loro quotidiano impegno. La cosa grave è che alla questione educativa non viene data la necessaria importanza. Dovrebbe essere messa sullo stesso piano della questione democratica. Chi non ha conoscenze adeguate difficilmente troverà lavoro o, se lo trova, sarà un lavoro che darà meno soddisfazioni, risulterà meno stabile, meno sicuro. Chi non ha studiato rischia di restare un cittadino di serie B, avrà più difficoltà a capire il senso della democrazia, il valore della Costituzione, sarà più facilmente preda della illegalità, della criminalità.