di Carlo Radollovich
I governatori spagnoli, di nomina regia, disponevano di poteri che in pratica erano quelli esercitati da un capo di Stato, anche se dovevano rispondere al re di Spagna per tutti gli atti considerati di notevole importanza.
Dal novembre 1535, troviamo a capo della nostra città Antonio de Leyva (1480-1536), già Signore di Monza dal 1529, bisnonno paterno di quella Marianna de Leyva (suor Gertrude) alla quale si ispirò il Manzoni ne “I promessi sposi”. La sua carica durò poco più di un anno poiché cadde in battaglia nel settembre del 1536, in Provenza.
Suo successore fu Marino Caracciolo (1468-1538), napoletano di nascita, conte di Gallarate e di Cardano al Campo, elevato al rango di cardinale da papa Paolo II. Quando divenne governatore del Ducato di Milano, fu curiosamente ben visto dai milanesi malgrado imponesse alla città di saldare tasse mensili per la cospicua somma di dodicimila scudi. Rimase in carica per soli due anni poiché si spense improvvisamente. La sua salma venne tumulata in Duomo, in un ricco mausoleo opera di Agostino Busti detto il Bambaia, il noto scultore dell’alto Rinascimento.
Dal 1538 al 1546 rivestì la carica di governatore Alfonso d’Avalos d’Aquino (1502-1546), già Signore di Ischia e di Procida. Noto per la sete di guadagni, era inviso ai nostri concittadini perché “el dava l’oss e el tegneva la polpa per lu”. In ogni caso, egli seppe applicare molto bene le “Nuove Costituzioni” appena approvate da re Carlo V, che garantirono una certa prosperità sino al 1541. Purtroppo, nel 1542, si verificò una grave carestia dovuta al passaggio di innumerevoli locuste cha addirittura azzerarono o quasi i raccolti. Ferito durante la battaglia di Ceresole d’Alba (1544), combattuta tra spagnoli e francesi, venne nominato ad interim Don Alvaro De Luna (1390-1453), già castellano di Milano, per poi lasciare il posto, dall’ottobre 1546, a Don Ferrante Gonzaga (1507-1557), generale dell’esercito spagnolo.
Fu uno dei più discussi funzionari spagnoli anche se molti adulatori lo proclamarono “secondo fondatore di Milano”. In realtà, il restauro e l’ampliamento delle mura cittadine, si mostrarono agli occhi dei milanesi opere quasi inutili. Infatti, costarono sacrifici enormi e, secondo alcuni, si rivelarono come una indesiderata cintura soffocatrice.
Ma qualcosa non funzionò anche nel suo comportamento di amministratore.
Infatti, certi doni ricevuti, decisamente di spicco, come la famosa villa “Simonetta”, insospettirono le autorità madrilene. Ma Don Ferrante non venne richiamato in patria. Morì anzi in guerra nel corso della Battaglia di San Quintino fra spagnoli e francesi, persa da questi ultimi.