venerdì, Novembre 22, 2024
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Gli ultimi mesi di vita di Alessandro Manzoni

Nel suo ultimo anno di vita, il Manzoni frequentava la chiesa di San Fedele quasi ogni giorno. Ci andava sempre da solo, anche perché il tempio era assai vicino alla sua abitazione. Purtroppo, il 6 gennaio 1873, mentre stava scendendo dalla gradinata, ebbe un forte giramento di testa. Cadde, batte’ il capo, perse sangue e alcuni passanti lo accompagnarono amorevolmente a casa.

La sera dello stesso giorno (era domenica), alcuni amici andarono a trovarlo per imbastire piacevoli conversazioni con lui. Lo trovarono bendato, ma intento a leggere. La ferita, secondo quanto asserito dal medico dottor Todeschini, non si presentava grave, ma i suoi discorsi non avevano più la limpidezza consueta.

Disse al suo amico sacerdote don Natale Ceroli: “Non si accorge di un mio decadimento ? Tutte le idee mi si confondono, non sono più io”. Ma per i primi tempi amava scherzarci sopra e inviava per posta una sua foto alla figlia Vittoria, scrivendo: “Occhi, orecchi, gambe e anche pensiero, nessuno di questi mi dice il vero”.

Ma le sue conversazioni con gli amici si facevano sempre più rare e ad un certo punto cominciò a manifestarsi una certa confusione mentale. Gli prese la mania di gettare nel camino diverse carte manoscritte, tanto che, se il figlio Pietro non se ne fosse accorto, rischiavano di essere bruciati alcuni suoi manoscritti di capitale importanza.

Cercava di recitare alcune preghiere in latino, ma non se le ricordava più e dovette poi scriverle su un ritaglio di carta che teneva in tasca. Non ricordava che un suo figlio era purtroppo deceduto e, quando se ne rammento’, disse: “Mi ha preceduto di poco nella partenza dalla terra”.

Le sue ultime parole, secondo alcuni storici, furono: “L’uomo decade e poi precipita. Chiamate il confessore”. Dopodiché si pose sulla fronte un fazzoletto bagnato d’acqua e verso sera, nel giorno dell’Ascensione (22 maggio 1873), rese l’anima a Dio.

Due assessori comunali, Labus e Sebregondi, non appena avvisati, informarono telegraficamente il sindaco Giulio Belinzaghi perché si trovava fuori Milano. La sua morte venne annunciata al re, al presidente del Consiglio, ai presidenti di Senato e Camera e pure a Giuseppe Garibaldi. Per tutta la sera, una nutrita folla di milanesi sostava in silenzio sotto l’abitazione di via Morone.


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