di Carlo Radollovich
Il duca di Milano Galeazzo Maria, altezzoso, per certi versi anche presuntuoso e pure arrogante, successe a Francesco Sforza e restò in carica per dieci anni, dal 1466 al 1476.
Sebbene amante dell’arte, della cultura in generale, della musica e soprattutto conoscitore di quelle leggi economiche che risanarono le finanze del ducato, non seppe conquistare la stima di sua madre e i contrasti con le persone di corte furono numerosi. Alla base dei suoi facili cambiamenti d’umore, potrebbe aver giocato un cattivo ruolo la sua superba caratterialità.
Anche i suoi continui dissidi con le famiglie Olgiati, Visconti e Lampugnani, non favorirono di certo la creazione di quel clima di serenità che il padre aveva saputo costruire anche a livello diplomatico. Si aggiunga che la brutalità di certe sue azioni, come il rapimento di alcune dame appartenenti agli Olgiati e ai Visconti, fece inviperire queste famiglie, a cui si aggiunsero i Lampugnani che avevano subìto la confisca di certe rendite in modo del tutto arbitrario.
Era logico attendersi una vibrata reazione da parte delle casate suddette, le quali, riunitesi per affrontare l’argomento Galeazzo Sforza, decisero di dar vita ad una precisa congiura nei confronti del duca. Le persone convocate per organizzare un vero e proprio attentato furono tre: Giovanni Andrea Lampugnani, Girolamo Olgiati e Carlo Visconti.
Si narra che l’Olgiati, prima di associarsi all’azione delittuosa, pregasse Sant’Ambrogio affinché la tirannide potesse lasciare per sempre la città di Milano.
Alcuni presagi notati da Galeazzo (i bagliori di una strana cometa la sera del 24 dicembre 1476) sembravano preannunciare giorni di sventura e il duca ne rimase scosso. Il 26 dicembre egli si recò nella chiesa di Santo Stefano per assistere alla messa unitamente agli ambasciatori di Ferrara e Mantova. Non appena il duca e il corteo si accomodarono nelle relative panche, ecco sbucare il Lampugnani con l’intenzione, solo apparente, di supplicarlo. Ma ecco spuntare un suo pugnale che, in un batter di ciglia, si affondò nel ventre del duca. Contemporaneamente apparve anche l’Olgiati che gli vibrò una pugnalata al petto, mentre Carlo Visconti gli recise la carotide pochi secondi dopo.
Altissimo fu lo sgomento e il disorientamento degli ambasciatori a cui seguì il fuggi fuggi generale dalla chiesa da parte dei fedeli. Le guardie fecero però in tempo a catturare un servo dei Lampugnani. Torturato brutalmente, questi si decise di segnalare i nomi alle autorità.
Carlo Visconti venne catturato presso un parente, Girolamo Olgiati vagò per la città e venne preso. La stessa sorte capitò a Giovanni Andrea Lampugnani. I tre furono torturati e l’Olgiati fu l’ultimo a resistere prima della morte. A un sacerdote disse di pentirsi di tutti i suoi peccati ad eccezione dell’omicidio di Galeazzo Maria. Ebbe ancora la forza di pronunciare davanti al carnefice la seguente frase: “La morte è immatura, la fama perpetua, la memoria del fatto sarà eterna”.
Una lapide, nella chiesa di Santo Stefano, è stata posta nel punto preciso in cui Galeazzo Maria Sforza venne ucciso.