di Stefania Bortolotti
Oltre alla misura della densità minerale ossea, su cui si basa la diagnosi di osteoporosi, esistono altri parametri che forniscono informazioni sul rischio di frattura: età, terapia con glucocorticoidi, anamnesi personale di fratture da fragilità, anamnesi familiare di fratture da fragilità, fumo, basso peso corporeo, eccessivo consumo di alcool.
La valutazione del rischio di frattura deve quindi essere distinta dalla diagnosi di osteoporosi. Purtroppo le fratture da fragilità, in particolare quelle in sede vertebrale, sono sotto diagnosticate anche perché spesso asintomatiche. Ne consegue un sotto trattamento: oggi solo un quarto dei pazienti viene sottoposto a terapie di prevenzione secondaria, che potrebbero ridurre del 70% il rischio di nuove fratture. Le fratture da fragilità, con il loro costo annuo, pesano sulla sanità italiana come una intera manovra finanziaria dello Stato: 9,4 miliardi di euro che, nel 2030, diverranno quasi 12 miliardi (+ 26,2 per cento). Questo non è il solo dato negativo pubblicato recentemente dalla “International Osteoporosis Foundation” che ci consegna un quadro molto preoccupante sul nostro Paese; una vera e propria emergenza di salute pubblica: 4 milioni di over 50 sono colpiti da osteoporosi e si stima che, nel solo 2017, si siano verificate in Italia 560.000 casi di fratture da fragilità (senza contare le numerose fratture vertebrali che solo in piccola parte vengono diagnosticate o registrate) la cui incidenza, nei prossimi 10 anni, aumenterà del 22,4%. Si tratta di una condizione causa di disabilità complessa, con un impatto enorme sulla qualità della vita e gravi limitazioni funzionali, che aumenta di molto il rischio di mortalità. Dati e considerazioni queste che, su iniziativa della rivista di politica sanitaria “Italian Health Policy Brief”, hanno indotto sei società medico-scientifiche e ben quindici associazioni di pazienti a dar vita a FRAME®, un’alleanza finalizzata al coinvolgimento della classe politica e delle istituzioni, affinché adottino scelte di politica sanitaria e adeguate iniziative che consentano, attraverso nuovi modelli gestionali, di prevenire e contrastare efficacemente le fratture da fragilità.
Un’alleanza che ha anche prodotto un Manifesto Sociale – presentato nel marzo scorso al Senato della Repubblica – nel quale sono state raccolte le istanze di tipo sanitario e le proposte organizzative che pazienti e società medico scientifiche sollecitano con urgenza. È importante considerare che per un paziente che abbia subito una frattura da fragilità, la possibilità di subirne una seconda entro due anni è di cinque volte superiore. Alla base di questo che si presenta come un ambito sanitario molto complesso e soprattutto un allarme inascoltato, si pongono alcuni fattori fondamentali: mancanza di dati certi, assenza di linee guida aggiornate, specie per quanto riguarda la prevenzione e di modelli organizzativi per la gestione e la presa in carico dei pazienti sul territorio.
Ad aggravare la situazione si aggiunge l’importante aumento della popolazione anziana e il fatto che la fragilità ossea è spesso concomitante con alcune patologie croniche o indotta da trattamenti farmacologici che possono determinarla, complicando ulteriormente il quadro clinico che coinvolge così diversi ambiti specialistici. Una condizione patologica per la quale urge un protocollo diagnostico-terapeutico-assistenziale per la gestione delle persone a rischio fratture che, oggi, devono confrontarsi con una inaccettabile complessità di regole per l’accesso alle terapie. “La percentuale delle morti conseguenti alle fratture da fragilità è assolutamente sovrapponibile alle morti da infarto – sottolinea il Professor Francesco Falez, Presidente della Società Italiana di ortopedia e Traumatologia – osservo che di prevenzione dell’infarto si parla spesso a livello istituzionale mentre, della necessità di fare prevenzione per le fratture da fragilità, non si parla affatto”. Affrontando il tema delle fratture da fragilità sul piano delle prospettive future e dell’epidemiologia, la Professoressa Maria Luisa Brandi, Ordinario in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, all’Università degli Studi di Firenze e Presidente FIRMO (Fondazione Italiana Ricerca Malattie dell’Osso), puntualizza l’urgenza di intervenire. “Se non si provvede subito – ha osservato – per l’Italia ci sarà un conto assai salato: ci aspettiamo che nel 2030 si fratturino i numerosi bambini che sono nati a cavallo degli anni ’50 -’60 perché, tendenzialmente, anche loro entreranno nell’età critica. Una situazione – ha proseguito – che creerà enormi problemi a livello di costi per la riabilitazione, per le protesi e per le case di riposo per gli anziani. Dobbiamo agire, anche perché abbiamo farmaci che in quest’area prevengono con successo le fratture fino al 70 per cento”.
Nel Manifesto Sociale, clinici e pazienti, oltre a porre in evidenza la dimensione del disagio prodotto da quella che potrebbe essere definita come la pandemia delle fratture da fragilità, hanno declinato in cinque punti le azioni indifferibili: riconoscerne la priorità, definirne le dimensioni, organizzare modelli di presa in carico, aggiornare le linee guida, aggiornare e semplificare i criteri per l’accesso ai trattamenti farmacologici e monitorare gli outcome: la ricetta (urgente) di clinici e pazienti per far fronte all’emergenza osteoporosi. “Io sono un convinto sostenitore della collaborazione tra le Associazioni di Pazienti per quelle che sono esigenze che io definisco transpatologiche – osserva Salvo Leone, presidente di EFCCA (European Federation of Crohn’s & Ulcerative Colitis Association) e portavoce delle associazioni pazienti che hanno aderito all’alleanza FRAME® – mi fa piacere pensare che ci sia la possibilità di riunire attorno ad un tavolo tutte le organizzazioni che hanno interesse per quanto riguarda la fragilità ossea e quindi sviluppare insieme dei progetti concreti mirati alla soluzione di gravi problemi sanitari”.