Romosozumab, farmaco sviluppato da UCB in collaborazione con Amgen, indicato per il trattamento dell’osteoporosi severa in donne in post-menopausa…
…ad alto rischio di frattura, ha ottenuto da parte di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) la rimborsabilità in Italia. Il farmaco è stato precedentemente approvato nell’aprile 2019 dall’FDA (Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) e nel dicembre dello stesso anno dall’EMA (European Medicines Agency) .
Romosozumab, prima novità nel campo dell’osteoporosi dopo 15 anni, è l’unica molecola ad oggi disponibile nella pratica clinica con un duplice effetto: da un lato stimola l’attività degli osteoblasti, quindi la neoformazione ossea, dall’altro riduce l’attività delle cellule che rimuovono il tessuto osseo (osteoclasti). Funzioni che fino ad oggi venivano svolte da classi farmacologiche distinte: gli anabolici e gli anti-riassorbitivi. Per questo, quella con romosozumab viene definita una terapia “osteo-regolatrice”, perché va a correggere lo sbilanciamento tipico dell’osteoporosi tra l’attività degli osteoblasti e quella degli osteoclasti, che comporta un altro grave problema di salute pubblica: le fratture da fragilità.
Con il progressivo invecchiamento della popolazione italiana, il compito di preservare l’indipendenza e gli stili di vita attivi della popolazione si è trasformata in una sfida che la ricerca, l’innovazione, le iniziative sociali e la politica sanitaria possono aiutare ad affrontare. “Secondo i dati riportati da IOF – International Osteoporosis Foundation nella seconda Edizione dello Studio Scope ’21, le fratture da fragilità – 568.000 nuovi casi nel 2019 in Italia – rappresentano un grave ostacolo all’invecchiamento in buona salute, compromettendo l’indipendenza e la qualità di vita di circa 4.400.000 persone (80% donne e 20% uomini) che nel nostro Paese soffrono di osteoporosi (principale causa delle fratture da fragilità) – afferma il Professor Iacopo Chiodini, Presidente SIOMMMS, Professore Associato di Endocrinologia all’Università degli Studi di Milano e Direttore della Struttura Complessa di Endocrinologia dell’ASST Ospedale Niguarda di Milano – La buona notizia è che queste ultime possono essere prevenute. Oggi i clinici hanno, infatti, a disposizione trattamenti farmacologici efficaci, ma questo aspetto è stato a lungo trascurato, nonostante l’ingente onere economico per l’assistenza sanitaria legata all’osteoporosi. Parliamo, infatti, di 9,5 miliardi di euro spesi in Italia nel 2019, di cui 5,44 miliardi per i costi diretti delle fratture da fragilità, 3,75 miliardi per quelli della disabilità a lungo termine e 259 milioni per gli interventi farmacologici”.
“Per le persone che hanno subito una frattura da fragilità – aggiunge il Professor Chiodini – il rischio di subirne una seconda è 5 volte più elevato rispetto a chi non è incorso in questo evento. Nonostante l’adozione di una terapia adeguatasia in grado di ridurre questo rischio fino al 65-70%, nella realtà il problema del sotto-trattamento è preoccupante. Sempre il Rapporto SCOPE ‘21 suggerisce che in Italia 2 milioni e 900 mila donne necessitino di un trattamento per l’osteoporosi, ma il 71% di esse non riceve alcun trattamento farmacologico. Gap terapeutico che non riguarda solo il nostro Paese, ma si osserva in tutta Europa. Poiché si prevede che l’incidenza di queste fratture in Italia aumenti del 23,4% entro il 2034, è giunto il momento di interrompere questa spirale negativa e di agire, individuando per tempo i pazienti fragili, trattandoli tempestivamente”.
“L’osteoporosi si inserisce nell’alveo delle patologie croniche e come tale deve essere trattata, con percorsi dedicati, un approccio multidisciplinare e una totale presa in carico del paziente – continua la Professoressa Maria Luisa Brandi, Presidente di FIRMO, Presidente dell’Osservatorio Frattura da Fragilità e Membro del Board di International Osteoporosis Foundation – Purtroppo l’osteoporosi è una condizione subdola che spesso viene intercettata a seguito di una frattura e quindi quando è già in fase avanzata. Ciò implica che il paziente dovrebbe essere seguito e monitorato dal momento della prima frattura in poi, effettuando una diagnosi differenziale del paziente fragile, individuando un percorso dedicato e scegliendo la migliore terapia disponibile.” “Per questo motivo trovo sia molto efficace il progetto che IOF ha lanciato in occasione del proprio 10° anniversario, chiamato ‘Capture the Fracture’. – aggiungela Professoressa Brandi – La prima frattura è, infatti, un campanello d’allarme, da qui l’idea di ‘catturarla’, per avviare il paziente verso un percorso corretto. In questo senso ritengo che il nostro Paese si stia muovendo bene per cercare di dare sempre maggiore attenzione al problema. Siamo stati, infatti, il primo Paese al mondo a redigere le Linee Guida sulle Fratture da Fragilità, emanate dall’ISS nel 2021, con obiettivi quali la diagnosi differenziale, la stratificazione del rischio di ri-frattura e la continuità assistenziale, alle quali ora si rifaranno tutti gli altri Paesi. E da questo documento è necessario partire per costruire percorsi dedicati ai pazienti fratturati. Abbiamo perseguito questo obiettivo per anni, da un lato raccogliendo nella pratica clinica quotidiana i bisogni dei pazienti e di molti specialisti che lamentavano la mancanza di un riferimento basato sulle evidenze, dall’altro cercando di sensibilizzare le Istituzioni e i decisori sulla necessità di prendersi in carico questa epidemia silenziosa rappresentata dalla fragilità ossea non correttamente diagnosticata”.