Ai primi di novembre 1535, il figlio minore di Ludovico il Moro e di Beatrice d’Este stava per esalare l’ultimo respiro dopo quasi quattordici anni di regno. Su Milano penzolavano i corpi di otto malandrini sorpresi mentre rubavano, e la città sembrava non disturbata da questo triste evento, tanto che le persone addette ai loro alti incarichi non venivano rimosse.
Milano restava quieta e praticamente nessuno si meravigliava di tale fatto. Basti dire che occorsero ben diciotto giorni per organizzare le solenni esequie, per addobbare a lutto non soltanto le strade, ma anche il Castello e pure il Duomo. Dopo tanti giorni, finalmente, la processione si snodava tra Santa Maria Segreta, il Cordusio, piazza Mercanti e appunto la Cattedrale.
Al centro del corteo sfilavano le guardie con il giubbone nero e il cavallo di sua eccellenza, anch’esso ricoperto in velluto nero, quasi per rendersi conto che Francesco II se n’era andato per sempre. E infatti, poiché una conservazione del suo corpo non fu possibile, considerato il tempo trascorso, fu fatto sfilare un simulacro, insomma una statua a sua immagine e somiglianza, con la berretta ducale in testa, sotto un baldacchino in tela d’oro. Poi il fratello Gian Paolo, Antonio de Leyva, gli ambasciatori di Venezia e delle altre Signorie, uno stuolo di persone vestite rigorosamente di nero.
Marco Burigozzo, il cronista del popolo, come veniva chiamato, annoto’ che la sera prima dei funerali suono’ la campana maggiore del Duomo, dopodiché tutte le altre, in Milano, fecero udire i propri rintocchi. E anche la mattina seguente tutte le campane suonavano a morto. Da quel giorno, il ducato milanese era diventato un’appendice periferica della Spagna.
La moglie di Francesco, Cristina, venne comunque confermata duchessa, il De Leyva rimase governatore, Massimiliano Stampa castellano, e tutti gli altri “fermi al loro luogo insina che le autorità mandassero altro aviso “. Il 28 novembre 1535 le campane ripresero a suonare, ma questa volta festosamente, mentre il corpo di Francesco fu sistemato in Santa Marta per poi essere trasferito in Duomo.