di Carlo Radollovich
La pianta della nostra città, in cinque volumi, datata 1737, fu accuratamente elaborata da Serviliano Lattuada, un dotto sacerdote milanese che la arricchì con diverse incisioni in rame.
Possiamo senz’altro considerarla come vera e propria guida storico-artistica di Milano. Se avessimo la possibilità di consultarla, noteremmo che la città, sotto il profilo stradale, non ha subito sostanziosi cambiamenti. Ma se ci incamminassimo per le sue vie, osserveremmo un nuovo volto architettonico.
Infatti, lo stile barocco, decisamente impostosi nel Seicento, prosegue nel secolo seguente con diverse variazioni dello stile, tali da coniare il curioso termine “barocchetto”. Si riscontra non soltanto un rinnovamento dell’edilizia privata, ma anche le chiese non si rifanno più alle linee del passato e decidono di restaurare il vecchio o addirittura di rifare le facciate. E quelle che osserviamo oggi riflettono, tra le altre, opere di “ammodernamento” conseguenti alla demolizione di sovrastrutture barocche.
La Milano del Settecento, se escludiamo il Piermarini, non assapora più la personalità accentratrice di un architetto come Francesco Maria Richini, il realizzatore del tempio di Santa Maria alla Porta, anche se altri validi artisti si affermano via via. Citiamo ad esempio Giovanni Ruggeri (progettista della famosa villa Soriani), Bartolomeo Bolla (magistrale architetto della Fabbrica del Duomo), Carlo Giuseppe Merlo (nelle sue opere riuscì a sposare la fantasia con il rigore matematico), Bernardino Ferrario (celebre per suoi numerosi interventi architettonici).
Nelle ville progettate dagli architetti del tempo, i ricchi milanesi vi trascorrono generalmente la propria esistenza dai primi di maggio sino ai primi di novembre, un elemento di costume che muta i ritmi di vita e al tempo stesso mette in luce la potenza facoltosa delle famiglie più in vista.
A proposito di famiglie benestanti, citiamo alcune lussuose ville: la Brentano a Corbetta, la Pertusati a Comazzo, la Alari a Cernusco sul Naviglio, la Crivelli a Castellazzo di Bollate.
Il rientro in città per il 4 novembre, giorno dedicato a San Carlo, chiude il periodo trascorso in campagna tra feste, cacce e gite a cavallo.
Ma, oltre ai divertimenti, i benestanti avevano anche l’opportunità di controllare in loco il lavoro svolto dai fattori, valutando ovviamente anche il reddito prodotto dai terreni. E’ probabile che, proprio da queste operazioni svolte lontano dalla città, fosse stata tracciata una prima strada per le industrie che sarebbero nate più avanti in provincia (vedi tra l’altro l’ampliamento della coltura dei bachi da seta con annesse filande e torciture).