di Carlo Radollovich
Scrittrice e poetessa, classe 1849, divenuta famosa con lo pseudonimo “Contessa Clara”, pubblicava a Firenze, poco più che venticinquenne, la raccolta di versi “Canti e Ghirlande”, versi che convincevano pochi lettori e addirittura risultavano astrusi nei giudizi espressi da Giosuè Carducci.
Ma Evelina era ben determinata nel coltivare il suo desiderio di affermarsi anche tra i vari salotti fiorentini, da lei frequentati con assiduità. Nel corso di uno di questi contatti, conobbe l’ufficiale Eugenio Mancini, il quale, dopo essersi guadagnato tre medaglie al valor militare in occasione della presa di Porta Pia (1870) corteggiò con insistenza e alla fine sposò la bellissima Evelina Cattermole. Dopo un breve soggiorno a Napoli, la coppia si trasferì a Milano e iniziarono a frequentare il ben noto salotto della contessa Clara Maffei, indiscussa patriota e saggia mecenate.
Con il trascorrere dei mesi, il capitano Mancini si annoiava parecchio nell’ascoltare prese di posizione e argomenti vari discussi nel salotto della Maffei, rammaricandosi di dover stare a fianco di una moglie sempre al centro dell’attenzione e oggetto di infiniti complimenti. Stanco di recitare un ruolo di secondo piano, si staccò dai convegni in cui la moglie era figura predominante e cominciò a frequentare altri amici, donne di teatro e ad organizzare partite a carte.
Evelina proseguiva imperterrita nei suoi contatti con Clara Maffei e cominciò a farsi accompagnare, per coprire la non presenza del marito, da un certo Giuseppe Bennati, amico del capitano e segretario di spicco del Banco di Napoli. La “sventurata”, trascurata da Eugenio Mancini, finì con l’innamorarsi del bancario. I due amanti si incontravano, ovviamente nel modo più nascosto, in un appartamento di via Unione. Tutto sembrava filare liscio finché una cameriera di casa Mancini, incautamente, non rivelò il puntuale procedere della tresca amorosa. Risultato: Eugenio sfidò a duello Giuseppe con le pistole. Lo scontro tra i due avvenne a Bollate e Giuseppe Bennati ebbe la peggio.
I coniugi Mancini si separarono subito ed Evelina partì per Firenze prendendo alloggio presso la sua vecchissima nonna. Dovette guadagnarsi da vivere e, aiutata dall’editore Angelo Sommaruga, pubblicò parecchi versi sulla rivista “Nabab” diretta dallo scrittore Enrico Panzacchi. Anche diversi suoi scritti ebbero fortuna presso “La Tribuna Illustrata”, “Il Fieramosca” e “Il Pungolo”.
Oscillante tra De Amicis e Stecchetti, pubblicò nel 1883 il volume “Versi”, senza suscitare importanti entusiasmi tra i suoi lettori. Per contro, migliorò sensibilmente il suo stile scrivendo poesie raccolte nel volume “E ancora versi” del 1886, ove espresse ampi propositi nel tentativo di modificare la propria esistenza, in modo attento e soprattutto ordinato. L’apice del suo travaglio interiore e dell’incanto poetico venne da lei raggiunto nel volume “Versi Nuovi”, pubblicato un anno dopo la sua morte, avvenuta in tragiche circostanze nel 1896, uccisa da Giuseppe Pierantoni, un giovane pittore con il quale conviveva, che le sparò per non aver ottenuto i quattrini desiderati.