Quando pensiamo ai grandi personaggi del passato, rivediamo le loro gesta di quando erano all’apice della gloria. Giovani, forti, belli. Raramente ci soffermiamo a immaginare come poi hanno affrontato l’ultima parte della loro vita, con tutte le difficoltà e le fragilità che comporta la vecchiaia.
Il poeta greco Ghiannis Ritsos affronta questo tema con un monologo dedicato ad Elena di Troia, inserito nella raccolta “Quarta dimensione” e tradotto da Nicola Crocetti. Monologo che è diventato uno spettacolo proposto dal Teatro Out Off con protagonista Elena Arvigo, che ne è anche la regista, insieme a Monica Santoro.
Elena è la donna che rappresenta il mito assoluto della bellezza. Omero ce la descrive come “regina tra le donne”, dai bei capelli e dalle braccia bianche. La Elena di Ritsos, invece, è ormai lontana da quell’età.
Si rende conto della caducità della sua bellezza. “… questo esilio dentro i nostri stessi abiti che invecchiano, dentro la nostra stessa pelle che avvizzisce…” E in un passaggio ancora più grottesco: “Grossi nei mi sono spuntati sul viso. Grossi peli intorno alla bocca – li tocco; non mi guardo allo specchio – peli ispidi, lunghi – come se qualcun altro si fosse installato dentro di me, un uomo sfrontato, malevolo, la cui barba spunta dalla mia pelle”.
Elena si pone delle domande dolorose. Che senso ha la vecchiaia? Questa età dovrebbe consentirci di raggiungere una certa pace interiore? Dovremmo diventare più saggi? Forse, ma poi esclama non senza amarezza: “… dovremo invecchiare molto, molto, prima di diventare giusti, di giungere a quella serena imparzialità, a quel dolce distacco nei paragoni e nei giudizi, quando non abbiamo altro da spartire all’infuori di questo silenzio”.
La vecchiaia dovrebbe anche farci capire qual è il senso della vita. Ma Elena si rende conto che è difficile coglierlo questo senso, ammesso che esista. E dice: “A poco a poco le cose hanno perso senso, si sono svuotate; d’altronde ebbero mai alcun senso?”
Restano le parole, quelle della poesia. Anche se esse pure pare non valgano più. E riflette: “… benché con esse (le parole) denominiamo alla meno peggio ciò che ci manca o ciò che non abbiamo mai visto – “le cose immateriali, come le chiamiamo, le cose eterne”- parole innocenti, fuorvianti, consolatrici, equivoche sempre nella loro affettata precisione.”
Ogni cosa perde senso. Elena, in nome della quale gli uomini fecero le guerre, si uccisero, si resero responsabili di atrocità indicibili, si chiede ancora. “… quante battaglie, eroismi, ambizioni, superbie senza senso, sacrifici e sconfitte e sconfitte, e altre battaglie, per cose che ormai erano state decise da altri in nostra assenza.”
Questa di Elena è l’amarezza dello stesso poeta di fronte alle ingiustizie e alle violenze del mondo. Non bisogna dimenticare che Ritsos fu perseguitato e passò diversi anni nei campi di concentramento dei colonnelli in Grecia fino al 1974.
Elena Arvigo con la sua recitazione attenta e sensibile, ha saputo ricreare, anche attraverso una scenografia quasi onirica, i pensieri di un essere sconfitto dalla vita ma che nel suo ruolo di vittima e carnefice non ha troppi rimpianti. Cadono tutte le costruzioni epiche sul suo personaggio e ridiventa donna che riporta alla luce i ricordi, senza paura di ridimensionare il suo mito, alla ricerca estenuante ma irrisolta del senso della vita.