venerdì, Novembre 22, 2024
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ECO/CAMILLERI: ITALIA, DOVE VIGE LA CULTURA DEL SOSPETTO

di U. Perugini

Ho letto uno di seguito all’altro i due ultimi romanzi di Umberto Eco e Andrea Camilleri, “Numero zero” e “La relazione” e mi sembra che abbiano diverse cose in comune. Entrambi prendono atto che nel nostro Paese si è andato a poco a poco sgretolando l’unico e vero collante che tiene in piedi una società sana e proiettata verso il futuro e cioè la fiducia tra le persone e nelle istituzioni.

Prevale sempre di più la cultura del sospetto, cresce in forme diverse quella che entrambi definiscono la “macchina del fango” cioè un sistema per delegittimare le persone oneste e per cercare di confondere le idee alla gente. Insomma, niente più è come appare, c’è sempre dietro qualcosa che cambia le prospettive, le capovolge.

Non c’è nulla di certo, se non la protervia del potere che sa usare le armi giuste, soprattutto quelle legate alla comunicazione, per distorcere e alterare la verità. A questi meccanismi, nonostante le eventuali possibili velleità di fuga, sembra che non ci si possa sottrarre. Le soluzioni potrebbero essere due: il cinismo, come per i protagonisti del romanzo di Eco, oppure la devianza, come nel romanzo di Camilleri. In entrambi i romanzi emergono inequivocabilmente i segnali della decadenza della nostra società. Una decadenza che in certi momenti ci appare irreversibile.

Via Bagnera

Ma lasciamo certe considerazioni pseudofilosofiche che non ci competono e curiosiamo piuttosto nel romanzo di Eco che è ambientato principalmente a Milano. Qui, l’Autore cita una via malfamata, dove tra l’altro si compirà un delitto, e che potrebbe far parte di un itinerario “noir” sui generis, forse anche poco conosciuto dai Lettori: via Bagnera.

Riportiamo alcuni brani tratti dal romanzo:”… via Bagnera, la strada più stretta di Milano, anche se non è come la Rue du Chat-qui-Pêche a Parigi, che quasi non ci puoi passare in due. Si chiama via Bagnera ma una volta si chiamava Stretta Bagnera, e prima ancora Stretta Bagnaria, per via di alcuni bagni pubblici d’epoca romana.”… “Qui sono avvenuti fatti di sangue. Dietro a queste porte ormai sbarrate devono esserci ancora cantine abbandonate, e forse passaggi segreti. Qui nell’Ottocento un tale Antonio Boggia, un tizio senza arte né parte, ha attirato in uno di questi scantinati un contabile, con la scusa di fargli rivedere dei conti, e l’ha colpito con un’ascia. La vittima riesce a salvarsi, il Boggia viene arrestato, giudicato pazzo e internato in manicomio per due anni. Ma appena torna libero ricomincia a dare la caccia a persone ingenue e danarose, le attira nella sua cantina, le deruba, le ammazza e le sotterra in loco. Un serial killer, come si direbbe oggi, ma un serial killer imprudente, perché lascia tracce dei suoi rapporti commerciali con le vittime e alla fine viene arrestato, la polizia scava nello scantinato, trova cinque o sei cadaveri e il Boggia viene impiccato dalle parti di Porta Ludovica. La sua testa era stata data al gabinetto anatomico dell’Ospedale Maggiore – eravamo ai tempi di Lombroso, e si cercavano nei crani e nelle fattezze del viso i segni della delinquenza ereditaria. Poi pare che questa testa sia stata seppellita a Musocco, ma chissà, quei reperti erano materiale ghiotto per occultisti e assatanati di ogni risma… Ancor oggi, qui si sente il ricordo del Boggia, sembra di essere nella Londra di Jack lo Squartatore, non vorrei passarci la notte, eppure mi attrae.”

Eco ambienta questa ricostruzione nel 1992. Oggi la via è cambiata di poco, ma se siete curiosi potrete passare di lì – si trova vicino a via Torino – magari dopo aver letto il romanzo di Eco e, rigorosamente, di notte. Anche Milano, certe volte, nasconde risvolti noir, non solo in certe periferie, ma anche nelle strade più centrali…

Un ultima precisazione Antonio Boggia fu condannato a morte e impiccato il 18 novembre 1861. La sua fu l’ultima esecuzione pubblica di un civile a Milano.

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