di Ugo Perugini
Lectio magistralis di Carlo Sini, professore di filosofia teoretica, saggista, e fautore di pratica filosofica, presso la sede della Jacabook. Che cosa è oggi la cultura? Non è una domanda banale. Un tempo era facile capirlo. Per Carducci, ad esempio, la persona colta era “chi sapeva di greco e di latino”. Oggi siamo di fronte a una moltiplicazione dei saperi per cui tutto è cultura, o meglio, non si riesce più a distinguere i diversi tipi di cultura: alta, media, bassa. Siamo di fronte a una cultura massificata. Oggi, la cultura corrisponde genericamente alla nozione di lavoro ed è rappresentata dalle tracce, dai materiali creati dall’uomo nella sua attività, coincidendo, in pratica, con la storia stessa dell’uomo.
Sini si avvale nel procedere del suo ragionamento di alcuni spunti recuperati dal libro dello psicoanalista lacaniano Massimo Recalcati “L’ora di lezione”. Siamo inseriti, sostiene Recalcati, in un modello ipercognitivista, dove la cultura è vista come specializzazione scientifica, o meglio tecnica, il che porta a un ridimensionamento del senso stesso della cultura, che non si occupa più dei valori ma si limita a risolvere i problemi, anziché porseli. Sini concorda con questo approccio interpretativo sottolineando come la cultura sia sempre di più “orizzontale” e non “verticale”, cioè navighi in superficie senza approfondire i temi, al punto che viene a perdere i legami con il mondo della vita intersoggettiva. Siamo, in altri termini, nell’epoca in cui prevale l’ideologia delle competenze che finisce per ridurre il soggetto a contenitore passivo.
Se tutto è cultura, se ogni attività ha una sua dignità culturale il rischio è che non esista più una cultura generale e che ognuno viva in un mondo suo separato dall’altro, senza avere in comune alcuna scala di valori. Cosa fa la differenza tra una canzonetta alla moda e un’opera di un gigante della musica? Il consumo. Il primo ha un successo larghissimo, l’altro resta chiuso in una nicchia ristretta. In altri termini, ciò conferma che i prodotti di questo tipo di cultura non son altro che merci e l’unico valore possibile è dato, non tanto dalla validità dei contenuti, quanto dalla risposta del mercato, in una visione, quindi, prevalentemente consumistica. Si potrebbe citare, a questo proposito, Nietzsche, che diceva che questa è una cultura da giornalisti, senza scale di valori, da utilizzare quando occorre e poi rapidamente dimenticarsene.
E’ vero, un tempo la cultura era quella delle élite, aristocratica, dogmatica, legata alla tradizione, destinata a pochi ricchi, utilizzata dal potere precostituito. Oggi siamo in presenza di una democratizzazione della cultura. Cosa per certi aspetti positiva ma che nella scuola assume contorni più preoccupanti. Oggi si può parlare di tutto e tutto ha uguale dignità, il che depotenzia il senso stesso della parola. In altri termini, si perde il rapporto tra il parlare e le sue conseguenze, tra parola e vita. E i professori fanno fatica a farsi comprendere e sono loro che devono allinearsi alle esigenze dei loro studenti, non il contrario. Molti professori si arrendono, il pensiero si banalizza, diventa conformista, effimero mentre, nel frattempo, i luoghi di produzione della cultura scompaiono. In centro, le librerie sono sostituite da negozi di moda…
D’altra parte, l’unica ricetta di fronte a questa crisi sembra quella di rilanciare il gigantismo della produzione. Produrre sempre di più, consumare sempre di più, trovare sempre nuovi mercati, per incrementare la ricchezza, il denaro, i mezzi di produzione. Ma questo non serve perché la povertà cresce egualmente ma soprattutto aumenta la miseria, che significa mancanza di consapevolezza della propria situazione. Ma ormai non è più possibile tornare indietro da questo processo di massificazione che ha intaccato anche la cultura. Come si può impedire che il mito della quantità (più prodotti venduti) umili quello della qualità?
Secondo Sini, ci sono due istanze che governano la qualità della cultura, la religione e la filosofia. La filosofia ha sempre avuto un peso enorme perché ha la funzione di critica dei valori, di lotta per la libertà, per la verità, per la giustizia, per la difesa dei più deboli, per l’eguaglianza. Ma ha svolto il suo compito fino all’Illuminismo dopo di ché avendo vinto la sua battaglia, cioè la scuola per tutti, il voto per tutti, l’uguaglianza per tutti di fronte alla legge, in sostanza realizzando i principi della democrazia, si è scavata la fossa con le sue stesse mani. La filosofia è diventata “epigonale”, cioè propensa a ritenere che non ci sia nulla di nuovo sotto il sole, e che non ci si debba impegnare più di tanto, visto che tutto è caduco e passeggero.
Il prof. Sini non ha soluzioni da proporre a questa situazione. C’è un certo pessimismo nel suo pensiero. La filosofia rimane oggi un ambito per pochi iniziati, una nicchia. Occorrerebbe abbattere gli steccati tra le conoscenze, evitare l’eccessiva specializzazione che impedisce il dialogo (quello vero), aspirare alla cultura come bene comune da difendere. L’incontro ha provocato un vivace e approfondito dibattito con la partecipazione anche di molti giovani. Segno che, nonostante tutto, ancora qualche speranza c’è.