Cesare Beccaria scriveva questo libro nel 1763, quando da poco aveva compiuto venticinque anni. Malgrado avesse già conseguito la laurea in giurisprudenza a Pavia, non si considerava affetto un maestro nel campo del Diritto. E proprio perché, inizialmente, si sottovalutava, si sentì gravato di un enorme peso quando scatto’ la pubblicazione l’anno successivo.
E’ corretto sottolineare che quel testo fu scritto per motivi riguardanti soprattutto la sua coscienza, forse “oscillante” tra quanto discusso con l’amico Pietro Verri (il quale si considerava protettore dei carcerati) e tra quanto affrontato sullo stesso tema con il fratello Pietro Verri, che stava già raccogliendo notizie per il suo libro “Osservazioni sulla tortura” che verrà pubblicato postumo nel 1804 per suo stesso volere.
Insomma, si notava in Cesare Beccaria una sorta di eccessiva prudenza nel commentare il suo libro, che uscì in forma anonima, stampato dall’editore Coltellini di Livorno.
Ma questo importante libro stava promuovendosi da solo, tanto che in diverse città italiane era venduto in più copie. Addirittura ottenne una incredibile eco anche in Francia, coinvolgendo diversi intellettuali, tra cui Francois-Marie Arouet, meglio conosciuto come Voltaire.
Il successo di vendita, con il trascorrere dei mesi, si rivelò addirittura straordinario. Tutto ciò grazie al suo linguaggio appassionante, diretto, chiaro e assolutamente ben comprensibile anche da parte di persone di media cultura.
Non mancarono tuttavia anche alcune critiche. Citiamo ad esempio il monaco Fernando Facchinei che attaccava Beccaria contestando tutte le sue premesse teoriche che, secondo lui, si basavano pure su certe falsità che cercò di dimostrare non in modo lineare. Permane in ogni caso la conseguenza che la Chiesa decise di mettere il libro all’indice.
Però continuava ad essere letto, non soltanto dai più convinti. E sinceri complimenti arrivarono da Parigi a nome di illustri personaggi come Diderot, D’Alembert, Morellet e D’Holback.
Al culmine della sua fama gli venne data da Vienna un’importante carica amministrativa, forse per sottrarlo alle invitanti offerte di Caterina di Russia, e riuscirà persino a conseguire il titolo di magistrato imperiale.
Ma seguiamo l’ottima introduzione del libro nel continente europeo. Nel 1769, alle Scuole Palatine di Milano, il traduttore inglese Sylvester Douglas porgeva i suoi complimenti all’autore. Nel 1776 usciva la prima traduzione in tedesco ad Amburgo. Nello stesso anno Caterina di Russia, nel tentativo di accattivarsi le simpatie di Beccaria, lo invitò a Mosca, ma il viaggio non si fece mai. Nel 1776 fu tradotto in svedese e da Stoccolma piovvero i complimenti da parte del re Gustavo III.
La Spagna accolse favorevolmente il libro nel 1774, ma tre anni dopo sarà effettuata la condanna da parte dell’Inquisizione madrilena. Nello stesso anno, in Polonia, il vescovo di Vilna, dopo averlo letto, si pronunciò contro la pena di morte.
Cesare Beccaria, celebre nonno dell’illustre Alessandro Manzoni, si era conquistato, in diversi Stati del Vecchio Continente, l’onorifico titolo di “padre d’Europa”.