di Ugo Perugini
Il 16 giugno porte aperte a Brera dalle 8 e 30 alle 22 e 15 per assistere a un confronto di opere davvero imperdibile tra il “Cristo morto” di Mantegna (databile attorno al 1480) e quello di Annibale Carracci (che risale al 1583/85) e che ci arriva da Stoccarda (Staatsgalerie).
Accanto a questi due capolavori si potrà ammirare anche l’opera “Compianto sul Cristo morto” di Orazio Borgianni (1615) che proviene dalla Galleria Spada di Roma.
Siamo al secondo “dialogo” e anche in questo caso si richiede al fruitore di lavorare con gli sguardi su diverse opere contemporaneamente, partendo dal capolavoro di Mantegna e soffermandosi su quelle di Carracci e Borgianni. E’ un esercizio non frequente ma utile perché gli stimoli che si raccoglieranno saranno innumerevoli, come tante le domande che potranno essere soddisfatte acquistando lo snello libretto realizzato da Skira “Attorno a Mantegna” che offre numerosi elementi di riflessione e un’ampia analisi critica di Keith Christiansen.
James M. Bradburne porta avanti la sua rivoluzione copernicana in Brera che vede sempre più al centro il visitatore non l’istituzione. E la tecnica del “dialogo” tra le opere è uno strumento utile per far provare al fruitore quell’emozione particolare che fa in modo che l’esperienza vissuta resti nella memoria e vada a costituire e rafforzare l’identità di cittadini consapevoli, in grado di comprendere il passato in modo da capire il presente e creare il futuro.
Insomma, il Museo non come un luogo dove si consuma cultura, ma la si produce. Questo il messaggio che ci arriva dalla nuova Brera, anche attraverso interventi strutturali di riallestimento delle sale, nuovi colori alle pareti, nuove didascalie, illuminazioni particolari, nuova vetrata. Non solo, cambia anche l’approccio con il pubblico e si cerca di coinvolgere chi è al servizio dei turisti: vi sarà, infatti, un incontro con tassisti, concierges e guide turistiche della città che potranno visitare la mostra e trasmettere ai loro clienti le emozioni provate in prima persona.
Ma torniamo alle opere. Perché il Cristo morto? Questa immagine è più frequente di quella del Cristo risorto perché è proprio nella morte che noi troviamo l’essenza umana di Gesù. Mantegna sembra che abbia voluto dipingere l’opera per sé, come oggetto di devozione, tanto che quella di Brera potrebbe essere una copia realizzata per gli Este di Ferrara.
Il Cristo morto per Mantegna – che era un tipo sicuro di sé, per certi versi anche arrogante – era una sfida. Andare contro la tradizione mostrando il Cristo con i piedi in avanti poteva essere un azzardo, creare effetti antiestetici, violare i principi di decoro, ma il pittore era conscio della sua grande abilità. I piedi in primo piano non hanno una positura irriverente. Sono sporchi, perché hanno camminato come fa ogni uomo sulla terra, si sono contaminati restando a contatto con il mondo. Inoltre, lo stare ai piedi di Cristo è l’atto più elevato di devozione umana.
Carracci probabilmente non vide mai l’opera di Mantegna ma seguì l’esempio di altri artisti che si erano ispirati al maestro mantovano. Il Cristo morto di Carracci è più terrigno, sembra un contadino. Il suo viso non ha la bellezza di quello di Mantegna: barba arruffata, denti che appaiono nella bocca semiaperta. La sua postura sghemba meno ieratica, risulta ancora più sofferente e umana, il sangue che sembra appena aver smesso di colare lo rende estremamente moderno e commovente. Una delle tante vittime della crudeltà di ogni giorno.
L’opera di Borgianni risente di influssi caravaggeschi, nella luce fioca e livida che illumina la scena: il volto di Cristo è in semioscurità e si dà più evidenza a chi veglia il cadavere e al loro dolore.
Qualunque sia la vostra impressione sulle opere, il consiglio è di non perderle. Ricordiamo che l’ingresso del 16 giugno è gratuito e la mostra durerà fino al 15 settembre.
Note sul libro: “Attorno a Mantegna” Secondo dialogo, a cura di Keith Christiansen, 72 pagine, 32 colori, euro 12,00, edizioni Skira.