di Ugo Perugini
Il teatro oggi non fornisce risposte – in realtà non lo ha fatto mai in tutta la sua storia – ma pone domande. Sempre più pressanti e contraddittorie. Come è giusto che sia in un’epoca tanto complessa e così “liquida”, per dirla alla Bauman.
Dallo spettacolo al Filodrammatici, intitolato “Il Compromesso”, di Angela Dematté con regia di Carmelo Rifici (in scena fino al 25 ottobre), si esce con un bel carico di interrogativi, con i quali non è semplice confrontarsi.
D’altra parte, questo spettacolo va visto, prima di tutto, come una sorta di esperimento praticato sui giovani attori dell’ultima classe di diplomati dell’Accademia dei Filodrammatici, calati con spirito sperimentale “nel brodo di coltura” della recente storia del nostro Paese.
La reazione chimica che ne esce è un risultato a volte sorprendente che parte dalla scoperta della stratificazione di un linguaggio che cambia, si semplifica, si banalizza anche grazie al medium televisivo, ma non perde le valenze drammatiche di fondo.
Questo il pregio degli attori che, ognuno in modo diverso, hanno reagito a questa provocazione, mettendo in gioco la propria capacità espressiva, cercando di contestualizzarla, nei numerosi e diversissimi frammenti di storia e cronaca patria nei quali sono stati chiamati a calarsi.
Dalla Prima Guerra Mondiale alla scuola Diaz, dalla tragedia di Vermicino alla caduta del muro di Berlino, si snodano le vicende di due famiglie italiane, politici, contadini, cattolici, democristiani, comunisti, alla ricerca di un senso, che in realtà significa ricerca di una propria identità.
La parola “compromesso” è ambigua. Come sostantivo si intende un accordo tra due parti le quali rinunciano ciascuno a qualche principio per trovare un punto comune di intesa. In realtà, visto l’individualismo della nostra gente, questa intesa viene sempre interpretata al ribasso con una forte carica di spirito di rivalsa.
Forse noi tutti, italiani, ci sentiamo un po’ compromessi. A tal punto che non riusciamo più a capire qual è la nostra strada e ci dibattiamo nella vana ricerca di una bussola. Può essere un male ma anche un bene, se riusciremo a trovare le vie d’uscita giuste…
Il lavoro teatrale, è onesto dirlo, non è di quelli che si digeriscono facilmente. Molte sono le sollecitazioni che vengono lanciate agli spettatori, sia dal punto di vista drammaturgico che sottoforma di metafora o anche di semplice proposta musicale. Anche le scritte sulle camicie, le giacche, le gonne, ecc. che sottolineano frasi e concetti del testo teatrale, sono un ulteriore contrappunto che imbalsama in modo grottesco certi concetti. Come la metafora del muro, ripetuta in diverse circostanze, ma alla fine non facile da decifrare.
Dietro questo lavoro, fatto di stratificazioni continue, c’è comunque, e si sente, un forte, energico, sincero impegno dei giovani attori sul palco, che sanno calarsi in modo convincente e determinato nelle varie parti loro affidate.
E’ giusto riportare i loro nomi: Ermanno Rovella, Michele Basile, Antonio Valentino, Alessandro Prota, Daniele Profeta, Ilenia Raimo, Alice Bignone, Camilla Pistorello, Eleonora Cicconi, Gianpiero Pitinzano, Camilla Violante. Di molti di loro sentiremo parlare ancora in futuro.