Si tratta dell’intervento chirurgico più effettuato in Italia, ma 4 cittadini su 10 sopra i 50 anni si dimostrano poco informati su sintomi, terapie e aspettative nel post-operatorio.
É il dato più evidente che emerge dall’indagine commissionata dal Centro Ambrosiano Oftalmico di Milano, con il patrocinio dell’Università degli Studi dell’Insubria, e svolta dalla società di ricerca GPF ad Aprile 2021, per la quale sono state intervistate 1.200 persone, pazienti e non, di un’età compresa tra i 50 e i 75 anni.
Il 60% degli interpellati ritiene che l’intervento avvenga solamente in anestesia locale e tramite l’uso di collirio. Il 55 % pensa che si usi solo il laser e solo il 6% risponde correttamente: la cataratta è un intervento che necessita di chirurgia.
“In realtà – afferma il Dottor Lucio Buratto, Direttore scientifico di CAMO, che di cataratte, nella sua lunga carriera, ne ha operate oltre 30.000 – quello di cataratta, per come viene normalmente svolto oggi in ambito pubblico è un puro intervento chirurgico: ciò significa che il chirurgo utilizza strumenti chirurgici per intervenire sull’occhio, senza l’ausilio del laser. Sebbene l’utilizzo del laser, infatti comporti diversi vantaggi, non è comunque strettamente necessario per la buona riuscita dell’intervento e, normalmente, non viene utilizzato se non nei centri privati che lo possiedono”.
Il 40% degli intervistati si dichiara poco o per nulla informato su cosa sia la cataratta: tra questi il 10% ha affermato di ignorare totalmente cosa sia questa patologia. L’invecchiamento è, per l’80% del campione, la causa principale della cataratta, mentre il 27,8% ritiene che sia causata da malattie oculari. Ben il 31% di chi ne ha sofferto, inoltre, è convinto che la miopia sia una delle cause scatenanti di questa patologia.
“Sebbene gli intervistati abbiano correttamente evidenziato come più pertinenti in assoluto sintomi quali l’offuscamento della vista (nel 70,5% dei casi), la progressiva riduzione della stessa (53,6%) e la difficoltà a leggere (47,4%), – afferma Claudio Azzolini, Professore presso l’Università degli Studi dell’Insubria – vediamo anche come differenze piuttosto evidenti si riscontrano nelle risposte di chi ha sofferto di cataratta e chi invece no. Mentre chi ne ha sofferto enfatizza maggiormente sintomi quali la difficoltà a vedere di notte (34,6%) la difficoltà a guidare (31,4%), o nell’utilizzo di dispositivi digitali (15,5%), chi non ha sofferto di questa patologia ipotizza una maggiore incidenza di sintomi quali affaticamento alla visione (35,5%) o visione sdoppiata (17,2%)”.
A conferma della scarsa o erronea informazione troviamo il dato riguardante le modalità di esecuzione dell’intervento di cataratta. Solo il 60% ha correttamente risposto, ad esempio, che è sufficiente sottoporsi a una anestesia locale tramite collirio. Ben il 55% crede che sia un intervento che si effettua con la chirurgia laser: una tecnologia che, invece, non è normalmente utilizzata se non in un numero limitato di centri specializzati. Soltanto il 6% ha saputo correttamente rispondere che si tratta di un intervento chirurgico. Alla domanda su cosa ci si aspetta dall’intervento di cataratta in termini di qualità della visione, il 90% risponde con la possibilità di vedere in maniera più nitida. “Una risposta parzialmente corretta – sottolinea il Dottor Buratto – che, in molti casi, si scontra bruscamente con la realtà. Il classico intervento di cataratta, infatti, sostituisce il cristallino naturale appannato ma non corregge i difetti refrattivi, né la presbiopia. Il 62% vorrebbe vedere meglio da vicino e il 60% si aspetterebbe di vedere aumentata l’estensione del proprio campo visivo. Si tratta di miglioramenti che si tradurrebbero in sensibili migliorie nello stile di vita delle persone: poter guidare senza ansie, leggere senza problemi e, in generale, essere più autonomi. Tutte attività fondamentali per una popolazione che, sempre di più, arriva all’età matura con uno stile di vita estremamente attivo”.
E cosa si aspettano gli italiani dall’intervento di cataratta in termini di rapporto con gli occhiali? Non dover più usare le lenti è la risposta del 50% del campione. Il 24 % pensa di dover continuare a portarli ma solo per vedere da vicino, il 16% per vedere da lontano e il 10% per la visione intermedia (computer, cellulare). “Un enorme limite ai desideri e alle aspettative dei pazienti è spesso dovuto alla mancanza di informazione. Le opportunità fornite dall’evoluzione tecnologica in ambito oftalmico – afferma il Dott. Buratto – sono spesso ancora ignote alla maggior parte delle persone. Complice l’abitudine a sottovalutare l’intervento, liquidato spesso come un passaggio obbligato dell’età matura senza possibilità di scelta, solo il 19,3% degli italiani conosce appieno le potenzialità offerte dai moderni cristallini artificiali (ad oggi ancora disponibili quasi esclusivamente nei centri oculistici privati) di risolvere difetti refrattivi quali miopia, astigmatismo, ipermetropia e presbiopia”.
Anche alla domanda sulla conoscenza delle funzioni svolte dal cristallino artificiale, il grado d’informazione degli italiani si dimostra abbastanza basso: il 50% degli intervistati ha risposto che elimina l’appannamento della vista. Il 28 % si aspetta che possa risolvere i difetti della vista da lontano e solo il 19% ha affermato che questa lente artificiale può correggere anche la presbiopia, eliminando del tutto o quasi la dipendenza dagli occhiali. “Lo scopo principale dell’intervento di cataratta – spiega il Professor Azzolini – è la sostituzione del cristallino naturale opaco con uno artificiale. Questo, però, da solo non elimina eventuali difetti visivi pregressi. Quindi l’impianto di un cristallino artificiale classico, monofocale, costringerà anche chi non ha mai portato occhiali ad utilizzarli, quantomeno da vicino. La nuova generazione di cristallini artificiali, invece, non cura solo la cataratta, ma va oltre, curando allo stesso tempo i difetti visivi, anche combinati tra loro. Va sottolineato che ad oggi, però, queste possibilità risultano costose per il Servizio Sanitario Nazionale che, infatti, non le adotta se non in rari casi”.
Su questo punto, dalla ricerca è emerso un dato molto rilevante: ben il 30% degli intervistati sarebbe disposto a pagare un’integrazione di tasca propria pur di recuperare appieno la vista e rendersi totalmente indipendente dagli occhiali. Il 92% degli interpellati per il sondaggio dice che, una volta ricevuta la diagnosi, non ritiene accettabile attendere più di sei mesi per l’operazione (ma, successivamente, il 56% del campione preferirebbe rimandare l’intervento in questa epoca Covid, mentre il 44% vorrebbe farlo comunque).“Sono dati che purtroppo contrastano con la reale situazione del Paese – conferma il Professor Azzolini – specie se consideriamo che in epoca pre-Covid 19, si andava dai tre ai nove mesi e ora, per la maggior parte degli ospedali italiani, dai dodici ai quindici.É evidente che quello di cataratta non è un intervento d’urgenza o salvavita. Quello che però vale la pena ricordare è che questa patologia, se curata con eccessivo ritardo può concorrere a peggiorare fortemente la vita delle persone nelle azioni quotidiane. Una visione compromessa, ad esempio, può essere causa di cadute anche gravi per persone di una certa età, senza contare che la vista ci tiene in costante contatto con il mondo e, un forte abbassamento delle capacità visive, unito a periodi di isolamento forzato, come quello che abbiamo vissuto nell’ultimo anno, possono essere fonte di un’accelerazione del decadimento cognitivo di soggetti fragili”.
Il 77% degli intervistati che ne hanno sofferto sostiene, infatti, che la cataratta abbia avuto un impatto da mediamente a molto negativo: una sensazione che si è certamente accentuata nel recente periodo di emergenza pandemica, nel quale gli interventi di cataratta hanno globalmente subito una battuta d’arresto. “La paura di contrarre il virus e l’insicurezza derivante dal passare del tempo in una struttura con altre persone in attesa sono le motivazioni principali di chi preferirebbe rimandare l’intervento a causa del Covid-19 – conclude il Dottor Buratto -. Ma i pazienti devono sapere tutte le strutture sanitarie hanno messo in campo protocolli e sistemi di sicurezza per contenere al massimo il rischio. CAMO, ad esempio, è stata la prima struttura sanitaria Covid-free d’Italia, ma esempi illustri li troviamo su tutto il territorio nazionale. Ciò che è importante è non smettere di prendersi cura di sé a causa della paura, perché i rischi derivanti della non-cura possono essere ancora più impattanti”.