di R.Righi
Non è facile per noi cercare di capire cosa spinge i terroristi ad assassinare persone innocenti come è successo negli attacchi di venerdì scorso a Parigi. Però è necessario farlo, se non vogliamo assumere atteggiamenti di rifiuto e totale arroccamento che, alla fine, non portano a nulla. In questi giorni ci hanno provato un po’ tutti e noi vorremmo riportare le idee dell’antropologo Scott Atran che studia da tempo questo fenomeno.
Secondo questo studioso, ci sono due grandi categorie di giovani che vengono reclutati dall’ISIS. I primi sono quelli nati in Oriente, Iraq e Siria in particolare, che operano a livello locale e che rispondono con la violenza alla situazione difficile che vivono nella loro terra. Questi giovani ricevono delle istruzioni di addestramento pratico al terrorismo ma in genere hanno un basso livello di istruzione. Il loro comportamento è dovuto al fatto che non hanno altre scelte e l’Islam per loro è l’unica ragione di vita, anche se non conoscono nulla né del Corano né del libro di Hadith, che riporta gli aneddoti della vita del Profeta.
Ben diversi sono i terroristi che provengono dall’Europa. Si tratta di giovani più istruiti, che accettano le proposte dell’ISIS spinti da un malinteso atteggiamento di empatia, idealismo, alla ricerca di un significato da dare alla propria vita. Questi giovani non riescono a raggiungere in Europa uno status socio-economico soddisfacente, nemmeno dopo la terza generazione. Rispetto agli Stati Uniti, da noi ci sono molte più probabilità di restare poveri e in fondo alla scala sociale. E, quindi, sono più portati alla radicalizzazione delle idee.
Secondo l’antropologo, su questi giovani non hanno effetto tanto gli insegnamenti del Corano o le indicazione della religione islamica, quanto il poter affrontare una avventura rischiosa, emozionante e che promette loro di ottenere grande gloria. La Jihad sarebbe un “datore di lavoro” basato su principi egualitari, fraterni, convincenti e in grado di offrire soddisfazioni altrimenti non ottenibili.
Uno dei Paesi più a rischio, come dimostrano i recenti avvenimenti, sarebbe proprio la Francia. Qui, secondo lo studioso, “un giovane su quattro” tra i 18 e i 24 anni mostra un atteggiamento favorevole nei confronti dell’ISIS, questo anche se soltanto l’8 per cento dei francesi si professa musulmano.
Secondo Atran, i giovani, come aveva già affermato Hitler, nel suo famigerato libro “Mein Kampf, ”non vogliono solo la pace, la sicurezza, il confort e la soddisfazione dei loro desideri. Essi aspirano all’avventura, alla gloria, al sacrificio”. Questo il motivo per cui non è facile fermare questo processo di radicalizzazione tra i giovani europei.
Uno scrittore, Hanif Kureishi, in un’intervista alla Lettura del 1 novembre, arriva ad affermare: “… il modello della nostra società … è quello di un’infernale macchina che crea illusioni. L’illusione dell’arricchimento sfrenato, dell’arricchimento a spese altrui. … Il denaro come unico godimento e soddisfazione… Il consumismo eccessivo che annebbia le menti, la corsa alla fama da raggiungere senza meriti ma in ogni modo… anche con le azioni più spregevoli. E’ colpa dell’Occidente se poi un adolescente prende la valigia e vola in Siria”. “I giovani sono sempre stati idealisti in ogni epoca. Gli idealisti vivono di dubbi. A questi dubbi la società dell’accumulazione e del materialismo dà risposte eticamente deboli.”
E’ proprio così? Come risolvere allora il problema?
Prima di tutto, afferma ancora Atran, bisogna cercare di capire. Poi, come ha suggerito lui stesso in un discorso all’ONU, cercare di “offrire ai giovani qualcosa che li faccia sognare, una vita piena di significato, attraverso la lotta e il senso del cameratismo. Qualcosa di emotivamente forte ma molto meno distruttivo e terribile del terrorismo”, forse, aggiungiamo noi, anche cercando di renderli il più possibile partecipi del cambiamento e del miglioramento della nostra società, senza escluderli in partenza.
E’ un’utopia? Forse, ma perché non provarci!