di Ugo Perugini
Francesco Palmisano espone le sue opere all’ArtStudio 38 presso l’omonimo Hotel in via Canonica fino al 30 gennaio. Non è facile per chi visita la mostra, che si intitola “Segni” – realizzata a cura di Francesca Bellola – dare una uniformità interpretativa ai lavori esposti dall’artista milanese.
Alcune sue opere, infatti, più recenti – che danno il titolo alla rassegna – sono legate alle ricerche sul concetto di segno come massima sintesi espressiva, mentre altre, risalenti a due anni prima, nel periodo caratterizzato dal blu che l’Artista definisce “meccanico”, il protagonista dell’analisi è il colore.
In realtà, esiste un filo conduttore che unisce questi due diversi “strumenti di indagine”, come li chiama lo stesso artista. E’ la sua ricerca, che prosegue nel tempo, per arrivare alle origini, alle radici del significato espressivo dei segni e del colore. In altri termini, Palmisano è alla ricerca di valori primordiali dai quali partire per spiegarsi l’evoluzione della forma d’arte e la persegue attraverso sperimentazioni ed esplorazioni continue.
Dal segno primitivo recupera i misteri delle scritture cuneiformi, geroglifiche, fino ai primi interventi dell’uomo primitivo che interrompe l’omogeneità della struttura naturale (la roccia, ad esempio) con una semplice linea nera che serve a giustificare la sua presenza nel mondo e diventa simbolo, mezzo accidentale attraverso il quale si manifesta un significato, quindi il primo segno del pensiero dell’uomo.
Un artista di riferimento in questa ricerca è l’espressionista astratto Franz Kline, della Scuola di New York, in particolare per l’uso del colore nero, anche se i suoi segni risultano meno istintivi e più meditati di quelli del pittore americano. Per vedere tutta la serie di dipinti che riguardano la sua ricerca “segnica” rimandiamo a un interessante video
Questa attrazione fascinosa che indirizza la ricerca di Palmisano gli ha permesso di svolgere anche la sua analisi sul colore, approdando a quel “blu meccanico”, che ci ricorda il percorso compiuto da Yves Klein che creò “la più perfetta espressione del blu”, un oltremare carico ma brillante, che nella sua idea doveva essere il trait d’union tra cielo e terra per annullare il piano dell’orizzonte.
Il blu di Palmisano rappresenta invece l’infinito, senza confini, che l’uomo cerca di comprendere, di costringere quasi nella tela, interrompendo questo suo strapotere monocromatico, con forme geometriche, elementi spuri come fili di canapa, inserti metallici. Viene subito in mente, davanti a queste riflessioni, il bambino che Sant’Agostino vede sulla spiaggia, il quale si illude di poter riversare il mare nella piccola buca che ha costruito.
Palmisano è un artista da seguire nel suo percorso perché ha sempre qualcosa da dirci. Ce lo confermano anche i suoi interessi e le sue passioni. E’ un ammiratore di Anselm Kiefer e delle sue opere site-specific, “I sette palazzi celesti”, visibili presso l’Hangar Bicocca. Anche questo artista riprende, recuperando certe costruzioni architettoniche del passato, l’idea e il desiderio dell’uomo di cogliere il senso del divino, partendo dal rapporto inscindibile con la natura.
Una delle caratteristiche dei lavori di Palmisano sono le grandi dimensioni delle sue opere. Nelle sale dell’Art Gallery purtroppo per ragioni logistiche non è stato possibile esporne molte. La dimensione fisica dei dipinti amplifica il significato dei simboli e dei messaggi che contiene, coinvolgendo maggiormente chi li osserva, svolgendo anche una funzione distorsiva, ma al contempo stimolante, della percezione sensoriale di chi le osserva.
Una Mostra originale che fornisce parecchi spunti di riflessione. Da vedere.