L’arcivescovo Ariberto, figlio del nobile Gariardo, nacque ad Intimiano (oggi Capiago Intimiano) una piccola località a circa dieci chilometri da Como, nell’’anno 980. Fu ordinato sacerdote nel 1016 e fu nominato arcivescovo solo due anni più tardi.
I fedeli milanesi lo chiamavano “arcivescovo di ferro”, non soltanto per il suo carattere assai risoluto e sanguigno, ma soprattutto perché seppe esercitare il potere temporale in modo autoritario, tanto da conferire all’arcidiocesi un prestigio crescente.
La sua carica ecclesiale non va certo raffrontata con le tante eminenze del nostro tempo perché sapeva signoreggiare, paragone confermato dagli storici, come se fosse un vero re. Non mancava tuttavia alle sue funzioni di pastore delle anime, celebrando messa nella basilica di San Dionigi, demolita dal governo austriaco nel 1783 per far posto ai giardini pubblici di Porta Venezia. Pare che il tempio fosse posizionato sullo spazio ora occupato dal Planetario.
Una curiosità: quando Ariberto decideva di lasciare la basilica per qualche ora, non si affidava alla tradizionale mula allora usata dai prelati, ma cavalcava un destriero di pura razza. E che dire del nuovo ruolo affidato al ben noto Carroccio ? In anni più addietro il veicolo veniva utilizzato da certi frati solo per chiedere l’elemosina, facendo uso di una campanella (la cosiddetta “Martinella”) invocando la carità dai fedeli.
Lui trasformò il Carroccio, sempre trainato da buoi, in una vera e propria “macchina da guerra” per chiamare a raccolta guerrieri e volontari. Ariberto disponeva pure di valide conoscenze militari e nel 1034 guidò una spedizione di armigeri in soccorso dell’imperatore Corrado II il Salico, incoronato re proprio da Ariberto nel 1026.
Ma proprio con il trascorre del tempo, Corrado si rendeva conto del costante predominio e della crescente importanza assunta da Ariberto; insomma l’arcivescovo costituiva un reale pericolo. Corrado decise perciò di scendere in Italia per riaffermare l’autorità imperiale.
Fece imprigionare l’arcivescovo in un castello nei pressi di Piacenza, ma dopo una trentina di giorni di prigionia riuscì a fuggire e viaggio’ sino a Milano. Qui ricevette calorosi applausi da parte della popolazione. Corrado, nel 1037, volle reagire e cinse d’assedio la nostra città nel 1036, ma questa si rivelò inespugnabile. Dovette perciò cedere e ritornare in Germania.
Ammalatosi nel 1042, Ariberto volle redarre testamento in Monza e poco prima di morire chiese di essere trasportato a Milano, ove si spense nel gennaio del 1045. Dopo Ariberto erano ormai nate tutte le premesse per la nascita del Comune ambrosiano.