di Carlo Radollovich
In questi giorni si parla e si scrive molto di ignobili atti ai danni di attrici e di altre donne. Ma già i vecchi cronisti del XVII secolo segnalavano che, durante la dominazione spagnola, le molestie sessuali subite dalle nostre concittadine erano decisamente numerose. Si informava, per quanto si potesse, la pubblica opinione, commentando una sequela di scabrose vicende contenute nei vari atti giudiziari.
Una storia, del tutto vera, sbalordiva i milanesi, stufi delle insidie carnali che i nobili spagnoli, e non solo, riservavano alle donne. Eccola.
Si era nell’aprile del 1666 e una bella signora di vent’anni, tale Celeste Cassano, sposata con un artigiano di nome Tranquillo, titolare di un’armeria, corse un’avventura più che scioccante. Un giorno, trovandosi a pregare in chiesa, notò che un prestante nobiluomo, don Inigo di Villalobos, continuava a fissarla con insistenza.
Sembrava che tale “attenzione” potesse terminare dopo i Vespri, ma non fu così. Lo spagnolo tentò dapprima di farsi conoscere presso la bottega di Tranquillo e poi concluse un “affare” con un certo Antonio Cioffi, noto imbroglione di quei tempi, il quale, per un modico compenso, si dichiarò pronto a combinare un incontro tra don Inigo e Celeste.
Antonio si recò il giorno dopo nell’osteria presso la quale Tranquillo andava a bersi qualche bicchiere di vino. Cominciò con lui qualche discorso e, con un certo savoir faire, seppe ottenere la sua confidenza. Ritornò presto nell’osteria dopo avervi visto entrare l’artigiano e invitò quest’ultimo e sua moglie a pranzare in una cascina fuori porta, ove si mangiava e si beveva particolarmente bene. Il tutto, ovviamente, a spese del Cioffi.
La domenica successiva, Tranquillo e Celeste salirono sul proprio calesse e raggiunsero la cascina come d’accordo. Antonio era già sul posto e presentò loro una vecchia signora, descritta come la più affabile delle zie. L’abbondante pasto iniziò e le libagioni pure. La “zia” continuava a mescere vino nel bicchiere di Celeste, finché questa, non abituata a certi “surplus”, ebbe un leggero malessere. La vecchia propose a Celeste di fare quattro passi e il marito si dichiarò d’accordo, rimanendo nella trattoria a parlare con Antonio.
Arrivate nei pressi un vicino boschetto, la “zia” fece stendere Celeste, un po’ assopita, sull’erba e quasi subito si dileguò.
Ma ecco il tranello: dalla vegetazione saltò fuori all’improvviso don Inigo, che iniziò con pesanti avances nei riguardi della giovane donna. Questa lo respinse con forza e ritornò alla cascina di corsa. Più tardi, rimasta sola con il marito, raccontò l’accaduto per filo e per segno.
Ma don Inigo, non si diede per vinto. Si presentò nella bottega di Tranquillo, momentaneamente assente, e tentò di stuprare la poveretta. Questa cominciò a urlare a squarciagola e in quel mentre arrivò il marito, il quale, senza profferire parola, si armò di spada e ferì lo spagnolo. Ma questi chiamò subito gente e arrivarono anche guardie che portarono in carcere il povero artigiano.
Celeste si recò presso il Capitano di Giustizia, pronta a spiegare l’intera storia, ma nessuno le dava retta poiché le truppe erano in frenetica attesa della regina Margherita (Margherita Teresa d’Asburgo) che farà il suo ingresso a Milano il 15 settembre 1666.
Celeste fece e disfece sin che ottenne il permesso di essere ricevuta dalla sovrana. Questa ascoltò il suo racconto, venne creduta, e il suo sposo liberato.
Don Inigo non venne purtroppo punito perché riuscì, in tutta fretta, a lasciare la nostra città, magari alla ricerca di altre sporche malefatte.