di Stefania Bortolotti
Il suo nome è KPC: Klebsiella Pneumoniae Carbapenemasi-produttrice. È un super batterio ed è considerato un vero e proprio killer in quanto, in oltre il 50% dei casi, è ormai resistente a tutti gli antibiotici, inclusi i carbapenemi, l’ultimo baluardo, e rende di fatto disarmati gli infettivologi. KPC guida il plotone dei batteri resistenti che stanno dilagando nel nostro Paese: Pseudomonas aeruginosa, MRSA (Staphylococcus aureus resistente alla meticillina) ed Enterococco resistente. L’Italia è maglia nera per incidenza delle infezioni resistenti, con una diffusione superiore alle medie europee per alcuni dei principali superbatteri, che dagli ospedali si stanno diffondendo anche alle residenze per anziani e alle case di riposo. Il rischio è quello di entrare in un’era post-antibiotica dove anche infezioni banali mettono a rischio la vita. L’emergenza non è solo italiana, ma globale: l’antibiotico-resistenza, insieme ai cambiamenti climatici e alla salute di genere, è stata una delle tre priorità al centro del G7 dei Ministri della Salute che si è svolto nei giorni scorsi a Milano. Il Piano Nazionale di Contrasto all’Antimicrobico-Resistenza (PNCAR), lanciato dal Governo agli inizi di settembre e ispirato all’approccio “One Health”, con il coinvolgimento di tutti i settori interessati (medicina umana, veterinaria, ricerca, zootecnia etc.) è stata la prima risposta organica, attesa da anni, ma da Santa Margherita Ligure, all’European Antibiotic Awareness Day del 18 novembre scorso, i maggiori infettivologi italiani, riuniti per l’International Meeting on Antimicrobial Chemotherapy in Clinical Practice, hanno lanciato l’allarme: se non si intensificano gli sforzi, se non si destinano risorse adeguate, se si pongono troppi vincoli all’uso di nuovi antibiotici, se medici e pazienti non si impegnano a usare gli antibiotici in modo appropriato, i programmi potrebbero non bastare a fermare l’avanzata dei superbatteri. «Il nostro Paese ha reagito tardivamente al problema delle antibiotico-resistenze ed è stato richiamato ufficialmente dal Centro Europeo per il Controllo delle malattie. Il programma PNCAR, appena varato, è un importante passo in avanti, con obiettivi molto precisi e ambiziosi, senza però che siano specificate le modalità economiche per ottenerli», afferma Claudio Viscoli, Presidente della Società Italiana di Terapia Antinfettiva – SITA e Direttore Clinica Malattie Infettive, Università degli Studi di Genova IRCCS San Martino – IST. «SITA è in prima linea per contrastare l’abuso e l’uso non corretto degli antibiotici, prima causa delle antibiotico-resistenze: fino a oggi ci siamo concentrati soprattutto sui cittadini con la campagna Antibiotici-La nostra difesa numero 1, e adesso ci rivolgiamo anche ai medici prescrittori, perché sappiamo che di antibiotici se ne prescrivono troppi senza necessità.» Negli ospedali dell’UE, fino al 50% degli antibiotici vengono usati in modo eccessivo o inappropriato. In Europa, il consumo di antibiotici specifici per il trattamento delle infezioni multiresistenti è raddoppiato nel periodo compreso tra il 2010 e il 2014. L’Italia è uno dei Paesi dove si registra il maggior consumo di antibiotici (27,8 dosi ogni 1.000 abitanti al giorno). Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), agli attuali tassi di incremento delle antibiotico-resistenze da qui al 2050, i “superbug” saranno responsabili di almeno 10 milioni di decessi annui diventando la prima causa di morte per il mondo. Proprio in occasione della Giornata Europea degli Antibiotici, due importanti società scientifiche europee, ESCMID (European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases) e ESICM (European Society of Intensive Medicine), hanno lanciato ANTARCTICA (ANTimicrobiAl Resistance CriTIcal CAre), una vera e propria Alleanza europea contro le antibiotico-resistenze nelle terapie intensive. La call to action rivolta a tutti gli specialisti è quella di utilizzare meglio gli antibiotici in questo specifico setting, migliorare le tecniche di diagnosi e cura, cercando di avere più dati microbiologici per capire quali siano i germi che circolano nelle strutture ospedaliere, e promuovere nuovi studi clinici condotti specificatamente sull’uso dei nuovi antibiotici nelle terapie intensive.