Dopo i numerosi trasferimenti d’abitazione avvenuti durante l’infanzia (uno dei quali addirittura in Libia), la futura scrittrice, nata a Roma nel 1914, decide di lasciare gli studi perché costretta a frequentare le scuole pubbliche qua e là, senza alcun entusiasmo.
Diventa autodidatta, leggendo molto e assaporando una piccola passione per il pianoforte. Alcune sue poesie, inviate alla rivista “Fiera letteraria”, vengono pubblicate e riscuotono un certo successo. Sempre per la stessa rivista scriverà nel 1934 il suo primo racconto dal titolo “Pellerossa”.
Si fa tuttavia notare presso un buon numero di lettori con “Angelici dolori”, romanzo pubblicato da Bompiani grazie ad uno speciale intervento di Massimo Bontembelli. Dopo aver abitato a Firenze e a Trieste, la troviamo nel 1939 a Venezia, ove diventa correttrice di bozze presso il “Gazzettino”.
Terminato il secondo conflitto mondiale, da Napoli inizia la collaborazione con la rivista “Sud”, crogiolo di giovani talentuosi, tra i quali si nota la presenza di Raffaele La Capria. Nel 1953 pubblica il romanzo “Il mare non bagna Napoli”, dedicato agli scrittori napoletani, grazie al quale vince il premio Viareggio, ma suscita forti opposizioni da parte di un certo numero degli stessi scrittori.
Dopo Napoli, la incontriamo a Milano e qui pubblica diversi scritti presso La Terza. Ma la vita della Ortese si fa complicata perché riceve scarsi anticipi dagli editori e la pensione di suo padre, che riscuote, è davvero esigua. Nel 1965 dà alle stampe, tramite l’editore Vallecchi, “L’Iguana”, un romanzo che parla di modernità in generale, di colonialismo, della condizione umana e della sua oppressione. Insomma, un racconto filosofico che affascina.
Dopo il “Cappello piumato” e “Porto di Toledo”, pubblicato da Rizzoli nel 1975, Anna Maria Ortese si trasferisce a Rapallo, da sua sorella, e qui patisce il suo isolamento, non solo culturale, ma soprattutto umano.
A Milano, ospite dell’editore Adelphi, torna a far parlare di sé con il suo nuovo libro “Il cardillo addolorato”, bene accolto dalla critica, quasi incantata da quella sorta di mistero della narrazione che trapela nel romanzo.
Va comunque sottolineato che nel buio dell’immaginazione della Ortese (è proprio in questo oscuro contesto che nascono le tristi figure da lei create per poi a a volte diventare addirittura luminose), riscontriamo spesso la presenza di diversi fattori del Nord mescolati con quelli di natura mediterranea. E l’originalità della scrittura della Ortese risiede proprio nel far convivere questi due complicati elementi.
Anna Maria Ortese, da sempre individualista, non desidera affatto separarsi dalla comunità anche se in pratica non riesce mai a mettersi pienamente in contatto con la socialità. Ammalatasi nel febbraio del 1998, ci lascia per sempre un mese dopo.