di Carlo Radollovich
Nella Milano by night degli anni Sessanta si era purtroppo manifestata una dura aggressione nei confronti di una ragazza jugoslava, ventitreenne, di nome Rosetta Draganovich. Si tratta di un fattaccio che forse pochi Milanesi ricordano.
Nella tarda serata del 29 settembre 1966 la bellissima Rosetta, unitamente alla sorellastra Sonia Bozic di ventidue anni, si esibiva come spogliarellista in un night club della nostra città, precisamente presso il “Maxim” situato in Galleria Manzoni, una viuzza che collega le vie Borgospesso e Manzoni.
Terminato lo spettacolo verso le tre, le ragazze si accomodarono al bar per bere un drink ristoratore in compagnia di due clienti che frequentavano il locale. L’atmosfera era serena, distesa e nulla faceva prevedere quanto stesse per succedere. Lasciato il bar, la piccola comitiva stava osservando come Milano si presentasse davvero deserta. Tuttavia, all’angolo con via Manzoni, si presentò improvvisamente un uomo di media statura, in abito completamente scuro, il quale tentò un primo assalto nei confronti di Rosetta.
Afferrò la ragazza per il collo, ma dapprima la giovane riuscì ad evitare la stretta. Subito dopo, però, venne attanagliata con molto forza e l’uomo infierì su di lei con quattro coltellate piuttosto profonde per poi scappar via con una corsa a perdifiato. Gli accompagnatori, in stato di shock per l’accaduto, chiesero aiuto e riuscirono a far ricoverare la poveretta presso l’ospedale Fatebenefratelli.
La soluzione del giallo non tardò a concretizzarsi perché Rosetta, ferita ma cosciente, riconobbe nell’uomo vestito di nero l’ex marito libanese Daniel Semaan, che la ragazza aveva sposato un anno prima ad Atene. Tuttavia, a seguito di liti che si facevano sempre più furiose per intensissima gelosia, Rosetta si decise a chiedere il divorzio. Ma il marito non si rassegnava alla separazione e la perseguitava ovunque. Aveva acquistato nel frattempo un’auto per poi cercare di fuggire assieme a lei.
Ma evidentemente non seppe controllarsi e commise l’orribile gesto. Resosi conto del male provocato, fuggì via dall’Italia con la stessa vettura raggiungendo Istanbul. Era chiaro che intendeva farsi beffa della giustizia italiana.
Il processo ebbe inizio nel 1970 e Daniel Semaan fu condannato in contumacia a sette anni di carcere, pena che in ogni caso non sconterà mai, tenendosi ben alla larga dai nostri confini. Rosetta tornò nella sua Belgrado e tentò di rifarsi una nuova vita in compagnia del figlioletto Samy, nato da una relazione precedente.