di Ugo Perugini*
Alla Pinacoteca di Brera. “Corpi del (c)reato ad arte (il valore della persona. In persona).Alessandro Bergonzoni non si deve capire, lo si deve comprendere. Prendere con sé, accogliere o rifiutare, se vogliamo. In ogni caso, quando entriamo in contatto con lui non possiamo più esser gli stessi di prima. Qualcosa cambia. Molto cambia.
Nei vortici delle sue parole, possiamo annaspare, naufragare anche, ma ci è dolce farlo. Sentiamo (senza bisogno di capire) che quel liquido instabile, fatto di assonanze, echi, riferimenti, doppi o tripli sensi, ecc. che ci avvolge è lì per confonderci. E bisogna essere capaci di fonderci, annullarci in esso, pronti ad attraversare i confini tra opera d’arte e opera dell’uomo o cronaca. Una terra di nessuno che sta tra osservatore e osservato, due stati veri e propri che confinano, due stati d’animo.
Le parole, secondo Bergonzoni, sono ormai esauste, come certe pile, giocano con noi, non siamo noi che giochiamo con loro. Dobbiamo essere capaci di andare oltre. Non ci devono bastare le fiaccolate, le manifestazioni di fronte a certe ingiustizie, non ci basta indignarci di fronte a fatti di cronaca drammatici (c’è l’allusione alla tragica morte di Stefano Cucchi e tanti altri giovani vittime della tortura, alle condizioni inumane di certe carceri) occorre fare un salto, andare oltre al senso di umanità, spingersi verso la sovrumanità.
La cultura è il rispetto che si deve a un’opera d’arte del Seicento, lo stesso rispetto che dovremmo a un morto d’incuria del Novecento. La performance di Bergonzoni, venti minuti densi di silenzio è fatta di di poche parole con la proiezione della foto di Stefano Cucchi che pian piano si definisce sullo schermo, prima in bianco e nero e poi a colori, fino a scomparire di nuovo.
La cosa che più tormenta chi vi assiste sono i minuti iniziali. L’incertezza di sapere cosa vuol comunicarci l’autore, di fronte al quadro bianco. I nostri pensieri vagano. A quello che faremo dopo, all’amica che ci aspetta, al pranzo che ci attende. Cose banali, di vita quotidiasna. Poi quell’immagine che prende forma: il cadavere di un giovane massacrato si compone davanti ai nostri occhi. Ed ecco che, potenti, affiorano i nostri rimorsi, le nostre paure rimosse, la realtà spiattellata davanti a noi che sconvolge e che ci fa riflettere. Quelle immagini le abbiamo viste altre volte. Ma questa volta è diverso, ci sentiamo un po’ responsabili della nostra rassegnata impotenza, della nostra superficialità.
E allora, ha ragione Bergonzoni quando dice: Il politico venga dopo. Prima si guardi al polittico, che letteralmente significa “forma sacra, qualsiasi opera d’arte costituita da più elementi distinti collegati fra loro”. Collegati fra loro, non separati; non c’è niente di separato. Ecco perché non mi interessa la giustizia, sola, la legge, sola, rispetto alle arti, alla poetica, agli universi…”
L’intervento è il primo di una serie che Alessandro Bergonzoni terrà nelle più importanti
sedi museali italiane e nasce da una riflessione su custodia e difesa dell’essere, dell’uomo, nella sua bellezza, sacralità, inviolabilità: in questo caso nello specifico, quando la custodia è affidata alla cura dello Stato.