di Carlo Radollovich
La tragica storia relativa a questa povera studentessa di ventuno anni, uccisa nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987 a Cittiglio, in provincia di Varese, con ventinove coltellate dopo essere stata stuprata, venne raccontata da tutti i quotidiani.
Anche oggi, l’impressionante omicidio viene seguito con la massima attenzione da parte della stampa, che continua a interrogarsi sui reali motivi che l’hanno causato.
Un delitto efferato, assai crudele, la cui soluzione è stata ora affidata alla scienza.
Una nota scienziata, patologa, ha infatti segnalato che esiste un vetrino, proveniente dall’Istituto di medicina legale di Pavia, sul quale è presente un minuscolo lembo di pelle prelevato dal corpo di Lidia Macchi nel corso dell’autopsia eseguita nel 1987.
Su tale vetrino sarà effettuato un particolare tipo di esame, ricorrendo ad uno speciale sezionamento del lembo, ove potrebbe essere ancora rintracciabile un “segno” di materiale organico, da cui estrapolare il Dna.
Ma ulteriori analisi verranno eseguite anche su denti, capelli e peli rinvenuti nella tomba. E tali esami saranno effettuati anche da parte di altri specialisti, tra cui un tossicologo e un genetista, per cercare di fare luce su questa terribile storia.
Anche alcune lame, rinvenute in loco, e tra le quali potrebbe esserci l’arma del delitto, sono state affidate alla Polizia scientifica.
Nel frattempo, rimane in carcere, a San Vittore, l’unico indagato per la morte della studentessa, un ex amico di Lidia. I suoi legali hanno richiesto la sua scarcerazione, in attesa che tutti gli esami proposti vengano eseguiti, ma la Cassazione ha negato tale richiesta.