di Carlo Radollovich
Il periodo napoleonico, nella nostra città, trascorreva a volte incorniciato da una serie di effetti scenografici che sorprendeva e stupiva parecchi milanesi.
Ci si incantava, ad esempio, osservando la piantumazione di alberi in piazza Duomo, la realizzazione di veri e propri baldacchini che esaltavano le glorie del grande còrso, la fastosa disposizione in centro di colorate ghirlande preannuncianti l’incoronazione di Napoleone con il titolo di re d’Italia (maggio 1805), l’insediamento, con feste relative, del viceré Eugenio Beauharnais con Luisa Amalia di Baviera (gennaio 1806) e parecchie altre manifestazioni che, sotto un certo aspetto, sottolineavano l’immagine di una certa prosperità locale.
Tutti questi eventi, le feste soprattutto, costavano decisamente molto. E l’esborso di quattrini era ovviamente superiore quando si trattava di erigere monumenti per celebrare il capo assoluto e il suo regime. E’ il caso, ad esempio, del severo arco ideato dal Cagnola a Porta Ticinese, dell’arco del Sempione (in seguito battezzato Arco della Pace) pure progettato dal Cagnola nel 1806, ma terminato soltanto nel 1838, l’arco di Porta Vercellina (demolito nel 1897), l’Arco di Porta Nuova eretto dall’abate Giuseppe Zanoia nel 1813.
Il Castello era stato oggetto di particolari attenzioni e si volle restituirgli il vecchio aspetto quadrangolare dopo l’abbattimento della cerchia a forma di stella dei baluardi spagnoli.
L’imperatore volle interessarsi personalmente della facciata del Duomo, insistendo affinché la stessa venisse ultimata nel più breve lasso di tempo, indipendentemente dal risultato artistico (nefasto) da conseguire. Per lui era importante mostrare alla popolazione tutti i segni di operosità e solerzia messi in campo dal regime.
Napoleone volle comunque dar prova di efficienza pratica iniziando i lavori relativi al canale navigabile Milano-Pavia, lavori che furono terminati sotto gli austriaci nel 1819. Furono permeate di vera gloria tutte le opere promosse da Napoleone? Purtroppo, no. Le chiese di Milano che lui ritenne in sovrannumero furono abbattute, oppure sconsacrate o addirittura destinate a magazzini per legna o fieno. Anche i conventi vennero decimati, spesso trasformati in caserme, chiostri destinati a scuderie, sacrestie imbiancate senza alcun riguardo. Solo dopo il Concordato raggiunto con la Chiesa (Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, ebbe il compito di riappacificare le parti dopo suoi ripetuti colloqui con papa Pio VII) la politica dell’imperatore si addolcì leggermente. Salvando il salvabile, le opere scampate alla demolizione o alla mutata destinazione di chiese e conventi vennero raccolte da Francesco Melzi d’Eril presso la Pinacoteca di Brera, da poco istituita.