di U. P.
Che cosa significa sharing economy? Qualcuno traduce questa espressione come “economia della condivisione”. In sostanza, si tratterebbe di un nuovo modo di vedere i rapporti economici tra le persone non più basati sul consumo a oltranza e sulla proprietà bensì sul riuso, sullo scambio, inteso come noleggio, prestito, collaborazione e condivisione gratuita e spontanea, favoriti dalle strutture tecnologiche.
Sembra, secondo alcuni, che da questo nuovo approccio economico si possano anche creare nuove possibilità per sviluppare un più forte senso di solidarietà e comunità. E sullo slancio di queste idee non manca chi pensa che la sharing economy rappresenti una soluzione utile per favorire la ripresa economica. Molte, infatti, sono le nuove start-up che nascono con questi intenti, appoggiandosi alla rete dei social media e delle nuove tecnologie, come BlaBlaCar, AirBnb. Alcune anche molto criticate (vedi Uber per il servizio taxi).
I giovani sembrano interessati a questa nuova frontiera dell’economia. Il 62%, infatti, sarebbe disponibile a sperimentare almeno uno dei servizi di sharing economy. Questo, secondo una recente ricerca illustrata durante l’incontro “Milano (è) una città condivisa?”, organizzato tra l’altro dall’Istituto Toniolo. Insomma, l’economia collaborativa o sharing economy dovrebbe diventare sempre più protagonista nella vita quotidiana dei giovani attraverso piattaforme che vanno dalla prenotazione di un viaggio all’ospitalità, dalla ristorazione fino ai servizi di mobilità, senza dimenticare l’aspetto sociale della condivisione. Tutto bene, quindi?
Non tanto. Questo tipo di economia – chiamata anche gig economy – nasconde qualche pericolo. Ci si domanda, ad esempio, quanto queste piattaforme siano realmente rispettose dell’individuo o quanto lo considerino invece solo un pezzo della catena del valore; quanto queste dinamiche di innovazione siano rispettose della società nel suo complesso e quanto, invece, si portino appresso spesso le solite strutture di potere.
Togliamoci dalla testa anche che il capitalismo, con queste scelte economiche, possa mostrare il suo “volto umano”. E’ vero si parla di condivisione, mutualismo, consumo collaborativo. Qualcuno può sentirci dentro concetti come collettivizzazione, cooperazione, usati dalla sinistra, ma la realtà è diversa e bisogna stare molto attenti. In fondo, lo scopo resta sempre quello di inventarsi nuovi sistemi per fare profitto, smantellando il welfare state, ove possibile, aumentando lo sfruttamento del lavoro e la crescita delle disuguaglianze.
Ma queste preoccupazioni nascono anche da parte di chi studia il fenomeno scientificamente, al di fuori di qualsiasi pregiudizio ideologico, come Andrew Keen, studioso americano dell’Università di Berkeley, che critica pesantemente Internet. Ecco cosa dice: “ Il problema è il monopolio globale governato da pochi. Il progresso che la rivoluzione digitale ha portato, contrariamente alle promesse, non è per l’umanità, ma per le industrie e le poche persone che hanno il controllo. La sharing economy non è affatto una teoria sociale come vogliono farci credere.”
Ecco come Keen vede il futuro: “Si prospetta un mondo sempre più ineguale con una sotto-classe di persone che lavora da una parte e una élite che si arricchisce dall’altra. Non è questo il mondo che vorrei per me e per i miei figli”. Che dire? Speriamo si sbagli…