di Carlo Radollovich
Mentre ammiravo, dal marciapiede di fronte, l’imponenza dell’edificio che ospitava il teatro Diana e che ora è sede dell’hotel Diana (viale Piave 42), un vecchio milanese, notando il mio volto prolungatamente rivolto all’insù, mi chiedeva se sapessi che cosa esistesse in loco prima che una valanga di cemento facesse sparire gran parte del verde da tutta la zona.
Avevo con me una vecchia guida della nostra città e mi fu facile rispondere. Correva l’anno 1842 e nel borgo di Porta Orientale (che a quei tempi abbracciava anche una parte dell’attuale viale Piave) era stata costruita un’ampia piscina pubblica, realizzata in soli quattro mesi, su progetto dell’architetto milanese Andrea Pizzala. Era stata dedicata a Diana, con la valida presenza di una scuola di nuoto, dalla quale erano state tuttavia escluse le donne, con vivo rammarico espresso da diverse rappresentanti del gentil sesso.
Attorno alla piscina vennero piantati numerosi alberi e creati ampi spazi erbosi. Le cronache ricordano che, da tali spazi verdi, un certo Carlo Rossi prese il volo a bordo di un pallone aerostatico il 2 maggio 1844 fra ali di folla festante ed esultante.
Il quadro urbanistico locale cambiò radicalmente quando si decise di demolire il Lazzaretto, raso al suolo quasi per intero tra il 1882 e il 1890 per far posto a diverse costruzioni (si salvò solo un piccolo tratto del Lazzaretto, visibile al civico 5 di via San Gregorio nonché la chiesetta di San Carlo).
Nel 1906 venne demolita la piscina e, l’anno successivo, ecco apparire l’imponente costruzione di cui facevo cenno all’inizio, un grande fabbricato in stile Liberty a cui si diede il nome di Kursaal Diana, che ospitava il teatro omonimo, un ristorante e un lussuoso albergo.
Il teatro Diana ebbe da subito fortuna. Realizzato con notevole eleganza, era dotato di un ampio palcoscenico. Qui si esibivano compagnie d’operette con musiche assai in voga in quegli anni, ma anche compagnie di prosa, con attori che recitavano in italiano, in dialetto milanese e anche in veneto. Vengono ricordati in particolar modo due artisti talentuosi e cioè Emilio Zago (1852-1929), sommo interprete goldoniano, magico interprete della maschera di Pantalone e Ferruccio Benini (1854-1916), per più di quaranta anni sulle scene dei più importanti teatri italiani.
Nel 1921, la sera del 23 marzo, un complotto dinamitardo innescò una bomba presso la porta d’uscita del teatro verso via Mascagni e nell’intermezzo dell’operetta “die blaue Mazur” di Franz Lehar, cantata dalla compagnia Darclé, successe il finimondo. Si contarono 21 morti e circa ottanta feriti. Gli anarchici Mariani, Boldrini e Aguggini, arrestati e condannati, intendevano colpire il questore Giovanni Gasti, in quanto rappresentante dello Stato che deteneva in prigione l’amico Errico Malatesta (il quale peraltro espresse sdegno per il folle gesto compiuto).
Ricostruito in parte dopo tanta sventura, il teatro riprese la sua attività con alterne fortune finché, nel 1925, si trasformò definitivamente in sala cinematografica. L’ultima proiezione avvenne il 14 maggio 1989 e, dopo tale data, l’ampio locale venne inglobato nell’hotel omonimo. In seguito, nel 2001, la sala venne riconvertita per poter ospitare sfilate di moda.