Arrivato a Milano nel 1450 come “capitano d’esercito” (vedi sua vittoria a Caravaggio contro le truppe veneziane), assunse poco dopo il titolo di duca e voleva presentarsi subito ai Milanesi con molta generosità e come protettore delle arti, facendo tra l’altro affidamento sulla sua forte personalità già messa in mostra in battaglia.
Iniziava a costruire il Castello Sforzesco sulle rovine di quello di Porta Giovia, assumendo al tempo stesso, con perspicacia e buon intuito, un fiorentino di nome Antonio Averlino, ossia il Filarete, già noto a quei tempi come valente architetto.
Fu suo il progetto nel realizzare la Ca’ Granda, la cui prima pietra venne posata nel 1456, ma la parte finale della costruzione avverrà soltanto ai primi dell’Ottocento. Per la cronaca, il Filarete vi lavorò sino al 1465, lasciando spazio a Guiniforte Solari, al quale succedettero Giovanni Amadeo e Francesco Maria Richini.
I cronisti dell’epoca ricordano che i viaggiatori, facendo tappa a Milano, desideravano anzitutto osservare da fuori il Castello Sforzesco per poi visitare la Ca’ Granda. E qui rimanevano sorpresi per la sua straordinaria e minuziosa organizzazione.
Infatti, oltre ai numerosi medici e infermieri, trovavano occupazione diversi barbieri, sarti, calzolai, aggiustatori, idraulici e anche alcune persone addette soltanto alla contabilità per gestire un numero incredibile di movimentazioni.
Si trattava in pratica di una città nella città, con un adeguato numero di forni per il pane, con la presenza di diversi venditori, falegnami, arrotini, addetti alla pulizia, eccetera.
Il Filarete aveva pure studiato come inserire precisi dettagli igienici nella costruzione e cioè depositi per il solo materiale sanitario in locali specifici, lavanderie con molta acqua a disposizione (prelevata dal canale che scorreva al posto dell’attuale via Sforza), gabinetti nelle vicinanze dei degenti, nicchie alle spalle dei letti per gli effetti personali, soffitti decisamente alti per consentire un migliore riciclo dell’aria.
I medici prescrivevano terapie abbastanza rudimentali (il loro motto era “primum non nocere” – primo non nuocere) a base principalmente di purghe e di salassi quando necessari. Erano attivi due primari e quattro specialisti per le malattie meno comuni. Gaetano Strambio, già prima dell’entrata in funzione della Ca’ Granda, si era distinto nel combattere con tenacia la pellagra.