di Carlo Radollovich
Daniel Barenboim, prima di congedarsi dalla Scala e di dirigere il “Fidelio” di Beethoven, dichiara con cuore aperto: “Sono stati nove anni meravigliosi”. In effetti, esordì nel prestigioso teatro milanese nel 2005 con la sinfonia n. 9 di Beethoven, per poi dirigere, tra l’altro, ben quattro prime: la “Carmen” nel 2009, “La Valchiria” nel 2010, il “Don Giovanni” nel 2011 e “Lohengrin” nel 2012.
Ora si troverà alle prese con un’opera difficile, con la complessa ricerca musicale della verità nel fondo di un carcere, soprattutto attorniato da spessori sinfonici grevi che contraddistinguono l’unico lavoro teatrale composto da Beethoven. In effetti, “Fidelio” è un Singspiel (canto e recitazione), in due atti, presentato per la prima volta al Theater an der Wien (Vienna) nel 1805, allora in tre atti, con il titolo “Fidelio, oder die eheliche Liebe” (Fidelio o l’amore coniugale). Era stato tratto da “Leonore ou l’amour conjugale” di Nicolas Bouilly, il quale riferì di uno strano e triste fatto realmente accaduto durante la rivoluzione francese.
L’opera non ebbe successo, sia per la lunghezza forse eccessiva, sia per motivi chiaramente politici (frizioni sempre più evidenti con la Francia). Beethoven si vide costretto a ritirarla e a ripresentarla successivamente nel maggio del 1814 dopo non pochi travagli, grazie all’aiuto di un valido collaboratore (il Treitschke) che mise mano al libretto: lo corresse e lo migliorò notevolmente sotto l’aspetto teatrale.
Il compositore descrisse i suoi sforzi nel tentativo di conferire al “Fidelio” un volto più nuovo e fresco, sottolineando che l’opera gli aveva provocato dispiaceri e “harte Leide” (aspri dolori). Ma forse per questi motivi, dopo il successo ottenuto con un enorme lavoro e molte energie profuse, la riteneva carissima perché appunto molto sofferta.
Le centinaia di repliche svoltesi, dopo quel maggio 1814, testimoniano la considerevole validità delle musiche composte con i sacrifici di cui si accennava.
Prima di intrattenerci brevemente sulla trama, segnaliamo che la prima italiana in assoluto del “Fidelio” fu eseguita presso il teatro Dal Verme di Milano il 15 maggio 1883.
Nel primo atto, il governatore di una prigione situata nei pressi di Siviglia, un certo don Pizzarro, imprigiona un suo personale nemico di nome Florestan. La moglie Leonore fa di tutto per rintracciare il marito: si traveste da uomo dandosi il nome di Fidelio e, grazie a informazioni raccolte, si dirige verso la prigione diretta da don Pizzarro. Riesce ad entrare nel carcere e nel frattempo il governatore viene a conoscenza che qui giungerà un ministro di Stato, don Fernando, da tempo amico di Florestan. Don Pizzarro ordina vigliaccamente di uccidere quest’ultimo, ma il carceriere Rocco si rifiuta. Gli viene però ordinato di scavare una fossa, volendo in cuor suo eliminarlo con le sue stesse mani. Fidelio, cioè Leonore, sospetta che si voglia uccidere il marito e, grazie a Rocco, visiterà tutti i prigionieri, ma Florestan purtroppo non si trova.
Il secondo atto inizia con la visione di Florestan incatenato nel profondo delle segrete. Fidelio e Rocco vogliono escogitare un piano per liberarlo e quando Florestan pronuncia ad alta voce il nome “Leonore”, la moglie comprende, stupita, di essere stata riconosciuta. Scoperti entrambi, don Pizzarro li vuole subito morti, ma uno squillo di tromba annuncia l’arrivo di don Fernando. Questi intima a don Pizzarro di essere lasciato solo con Rocco, desiderando conoscere in dettaglio il succedersi dei fatti. Poco dopo, Leonore viene autorizzata a togliere le catene al marito mentre le malefatte di don Pizzarro vengono finalmente smascherate.