…prioritari per i pazienti oncologici e onco-ematologici l’informazione, l’organizzazione di percorsi facilitati delle strutture vaccinali, le campagne di sensibilizzazione continuative rivolte ai giovani
A seguito della pandemia da Covid è cresciuta, seppur lentamente e ancora in maniera inadeguata, la consapevolezza e l’attenzione della popolazione rispetto all’importanza delle vaccinazioni come strumento di prevenzione delle infezioni e delle complicazioni che possono intervenire in condizione di fragilità come accade tra i pazienti affetti da tumore. Non mancano, tuttavia, zone d’ombra: i pazienti oncologici e onco-ematologici rivendicano una maggiore e più chiara informazione sui vaccini, organizzazione di percorsi facilitati delle strutture vaccinali per un accesso facilitato e campagne di sensibilizzazione continuative nel tempo, rivolte in particolare alle fasce giovani della popolazione.
È quanto emerge dall’indagine conoscitiva sulla prevenzione vaccinale, condotta nell’ambito dell’iniziativa “In Contatto”, promossa dalle 45 Associazioni del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, che ha voluto indagare le esperienze e le esigenze dei pazienti rispetto al tema della prevenzione vaccinale per portare all’attenzione delle Istituzioni eventuali disagi, bisogni non soddisfatti e proposte per trovare soluzioni adeguate. I dati dell’indagine sono stati presentati ieri durante una diretta Facebook, il secondo quest’anno di una serie di incontri sul web nell’ambito dell’iniziativa “In Contatto”, che ha avuto come focus la prevenzione vaccinale.
Hanno commentato i dati dell’indagine conoscitiva condotta sui pazienti nei mesi precedenti e risposto alle domande delle persone collegate, Sandro Barni, Associato Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri (CIPOMO) e Mara Morini, Referente Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SITI).
Attraverso l’indagine è stata richiesta la testimonianza di un campione rappresentato in maggioranza da soggetti di sesso femminile, tutti con diagnosi di tumore, intorno al 70% con età tra i 51 e i 75 anni, il 22% tra i 18 e i 50 anni.
Le persone più anziane sembrano essere più sensibilizzate rispetto al tema della prevenzione vaccinale, mentre i più giovani mostrano meno interesse. È la donna che si preoccupa di far vaccinare i propri congiunti. Colpisce il grado di istruzione del campione, decisamente elevato: il 56,2% è diplomato, il 43,8% laureato. Il 75% dei rispondenti è affetto da un tumore solido, i restanti da un tumore del sangue. Al momento dell’indagine, il 46,7% era in trattamento, il 33,3% in follow up, il 13,3% in osservazione mentre il 6,7% aveva appena ricevuto la diagnosi.
Il 70% degli intervistati dichiara di essere informato sulla prevenzione vaccinale; il medico di medicina generale (43,3%) e l’oncologo (36,7%) sono le principali fonti di informazione sull’argomento delle vaccinazioni, seguiti da Internet, canali social e passaparola. Tuttavia, resta il gap di quel 30% del campione che afferma di non saperne nulla.
È netta la percezione dei pazienti sull’impatto della malattia neoplastica nella qualità della loro vita e delle proprie condizioni di salute generali: infatti, quasi il 77% degli intervistati ritiene di essere nella categoria dei pazienti “fragili” e quasi l’intero campione (96,7%) è consapevole del fatto che un’infezione contratta durante la malattia può, a causa delle condizioni di fragilità, portare a complicanze serie per la propria salute.
«Questa indagine era necessaria ed è senz’altro utile – dice Sandro Barni, già ex Direttore Oncologia ASST Bergamo Ovest Ospedale di Treviglio e Consigliere Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri (CIPOMO) – lo studio rivela aspetti molto importanti quali la discreta informazione sul tema delle vaccinazioni del campione, le figure di riferimento che sono tradizionalmente il medico di famiglia e l’oncologo, la consapevolezza da parte dei pazienti di essere “fragili”, l’accesso ai servizi vaccinali senza particolari difficoltà. Un dato preoccupante sul quale dobbiamo riflettere è che oltre il 50% del campione non è intenzionato a vaccinarsi in futuro. Direi che l’indagine va ripetuta ed estesa ad una popolazione numericamente più importante. Insomma, l’invito che rivolgiamo al Gruppo “la salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, è quello di proseguire in questo importante lavoro di conoscenza sul tema delle vaccinazioni».
Come c’era da attendersi, l’80% dei rispondenti ha ricevuto il vaccino anti-Covid, il 56,7% l’antinfluenzale, il 53,3% il vaccino anti-pneumococcico, a seguire quello per l’epatite B e per l’Herpes zoster. Resta lo zoccolo duro del 20% del campione che non è stato vaccinato per nessuna di queste infezioni. Questo dato rappresenta un problema perché meno della metà pensa di doversi vaccinare in futuro, mentre oltre il 57% è incerto sul da farsi, o addirittura non ha intenzione di vaccinarsi. È su questa fetta della popolazione che l’informazione deve agire attraverso un linguaggio semplice, non allarmistico, non pressante ma che punti sull’educare e rendere consapevole il cittadino sulla utilità, l’efficacia e la sicurezza dei vaccini.
L’indagine rivela che nel complesso l’accesso ai servizi vaccinali (ASL, ospedali, studi medici, ambulatori, etc.) si è svolto senza alcuna difficoltà sebbene oltre il 20% del campione lamenti di aver incontrato “qualche” ostacolo o “parecchie” difficoltà ad accedere ai vaccini come, ad esempio, non sapere a chi rivolgersi, lungaggini nella prenotazione e attese nella chiamata.
Il 66,7% del campione si è vaccinato nel centro vaccinale della propria ASL di appartenenza, il 10% nello studio del medico di famiglia. Fondamentale il dialogo con il medico di medicina generale e i consigli che questa figura dispensa ai propri assistiti in merito alla necessità di vaccinarsi.
«Dobbiamo ringraziare il Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” per aver realizzato questa indagine attraverso la somministrazione di questionari online ai pazienti affetti da tumore – sottolinea Mara Morini, Referente Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) – colpisce che la maggioranza del campione sia costituito da soggetti di sesso femminile, d’altra parte è noto che nel nostro Paese per cultura, è la donna a farsi carico della salute dei suoi famigliari e di conseguenza della prevenzione. I dati emersi appaiono plausibili con il reale scenario italiano rispetto al tema della prevenzione vaccinale. I risultati dimostrano inoltre come la pandemia abbia implementato la vaccinazione come strumento importantissimo per la prevenzione delle malattie, e stimolato modelli organizzativi prima meno percorsi, quali ad esempio, la vaccinazione presso lo studio del proprio medico di famiglia. Un approccio che, l’attuale riorganizzazione del Servizio Sanitario territoriale, intende promuovere (DM/77) attraverso la realizzazione di strutture di prossimità, quali la Casa della Comunità. Molto ancora si potrebbe fare diffondendo la cultura della prevenzione tra i clinici/specialisti che ci assistono, che potrebbero offrire i vaccini direttamente nei loro studi».
Riguardo le informazioni ricevute, per il 46,7% del campione sono “buone”, “sufficienti” per il 26,7%, ma “scarse” per il 16,7%. Il 10% però afferma di non aver ricevuto alcuna informazione in merito. Il campione giudica “attenti” su questo tema sia il medico di famiglia sia l’oncologo che spiegano bene i motivi per cui è necessario vaccinarsi quando si è affetti da un tumore, quasi il 67% degli intervistati afferma di aver ricevuto spiegazioni sul fatto che un’infezione può avere importanti ripercussioni anche sul percorso di cura.
I risultati dell’indagine mostrano come tanti siano ancora i dubbi e le incertezze sui vaccini, tra questi la carenza di sperimentazioni, il loro potenziale pericolo o inutilità, gli effetti collaterali e le reazioni indesiderate.