Chiarezza, Differenziazione, Appropriatezza. Queste le tre parole “chiave” attorno ueste le tre parole “chiave” alle quali…
…si è articolato l’incontro: “Cannabis e Sanità. Ripartire dalla Scienza”, promosso da AdnKronos Comunicazione con il supporto non condizionato di Jazz Pharmaceuticals, con l’obiettivo di fare luce su un tema che registra un interesse crescente, ma che, a volte, si scontra con la sua stessa complessità e con l’utilizzo di una terminologia non sempre appropriata. Parlare di cannabis è estremamente importante, perché si tratta di una pianta che contiene diversi principi attivi, con interessanti potenzialità, che la comunità scientifica sta imparando a conoscere e utilizzare sempre più. Per questo è utile approfondire le differenze tra i suoi diversi impieghi, per evitare che si diffondano informazioni sbagliate, che possano aumentare il rischio di un uso non appropriato e, quindi, dannoso. Innanzitutto, è importante operare delle distinzioni: ci sono farmaci a base di cannabis approvati dalle Autorità Regolatorie, prodotti a base di cannabis non approvati dalle Autorità Regolatorie (c.d. cannabis medica) e prodotti di consumo contenenti CBD (cannabidiolo). Si tratta di tre categorie ben distinte, utilizzate per scopi differenti, che portano con sé implicazioni sostanziali.
Al dibattito sono intervenuti il Professor Giorgio Racagni, Past President SIF – Società Italiana Farmacologia, il Professor Emilio Russo, Ordinario di Farmacologia presso l’Università Magna Grecia di Catanzaro, il Professor Marco Pistis, Ordinario di Farmacologia presso l’Università degli Studi di Cagliari, la Dottoressa Laura Tassi, Presidente LICE – Lega Italiana Contro l’Epilessia e la Professoressa Marcella Marletta, Esperta di Sanità Pubblica e già Direttore Generale della Direzione dei farmaci, dispositivi medici e della sicurezza delle cure del Ministero della Salute.
Partendo dalla parola “chiarezza” il Professor Racagni ha spiegato cos’è la cannabis da un punto di vista farmacologico. “Innanzi tutto, dobbiamo ricordare che la cannabis è una pianta che – tra gli altri – contiene prevalentemente due principi attivi, il cannabidiolo (CBD) e il tetraidrocannabinolo (THC), di cui quest’ultimo è in grado di interagire con il sistema endocannabinoide del nostro organismo. Questo contribuisce all’omeostasi, ossia alla stabilità dell’ambiente interno del corpo, e si attiva per riportare l’equilibrio quando questa viene meno, così come una sua “disregolazione” può contribuire ad eventi patologici”.
Passando alla parola “differenziazione”, è opportuno distinguere – come si è anticipato prima – tre principali categorie. Alla prima appartengono i farmaci a base di cannabis approvati dalle Autorità Regolatorie, sottoposti a programmi rigorosi di sperimentazioni cliniche, come qualunque altro farmaco.
Alla seconda afferiscono invece i prodotti a base di cannabis non approvati dalle Autorità Regolatorie, utilizzati a scopo terapeutico su prescrizione medica, spesso indicati con il nome di cannabis “medica” o “terapeutica”, impiegati principalmente nel dolore cronico e quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale. In Italia, la cannabis per uso terapeutico può essere prescritta dal medico su ricetta non ripetibile. La mancanza di sufficienti evidenze scientifiche a sostegno del loro utilizzo nelle patologie per cui sono prescritti differenzia questi prodotti dai farmaci. Per questo il Ministero della Salute non considera tali prodotti come una terapia propriamente detta, bensì come un trattamento sintomatico di supporto ai trattamenti standard, quando questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati, o hanno provocato effetti secondari non tollerabili. Infine, esistono i prodotti di consumo contenenti cannabidiolo, venduti direttamente al pubblico in negozi specializzati o online, che includono oli e altri prodotti a base di cannabidiolo, dispositivi per il vaping e ingredienti per cosmetici. Questi prodotti – di fatto – non rientrano nelle due categorie precedenti e non sono autorizzati per finalità mediche.
Terza e ultima parola chiave del dibattito: “appropriatezza”. Un tema centrale sul quale tutti i relatori si sono ampiamente concentrati, anche in relazione alle differenti categorie di prodotti derivati dalla cannabis. “Quando parliamo di appropriatezza prescrittiva – dichiara il Professor Marco Pistis – generalmente ci riferiamo ai farmaci. Tra questi rientrano ovviamente anche quelli derivati dalla cannabis approvati dalle Autorità Regolatorie, che possono avere – come tutti i farmaci – effetti collaterali o interazioni farmacologiche. Ma si tratta di interazioni ben note, studiate e osservate durante gli studi registrativi. Sono monitorati anche nel post marketing dal sistema di farmacovigilanza. Per cui si possono apportare modifiche alle schede tecniche e inserire ulteriori informazioni, limitazioni, controindicazioni, ecc.”
Vediamo, dunque, che il concetto di appropriatezza va esteso a tutto ciò che viene impiegato a fini medici, riconoscendo la difficoltà di poterla garantire quando si utilizzano prodotti che non rientrano nella categoria dei farmaci approvati per specifiche indicazioni (es. integratori, prodotti erboristici, etc). “Normalmente i farmaci vengono autorizzati e introdotti nella pratica clinica perché si conosce il rapporto rischio/beneficio – aggiunge il Professor Emilio Russo – Utilizzandoli in maniera appropriata andiamo a vantaggio del beneficio. In caso contrario sbilanciamo questo rapporto, con il rischio di una mancanza di efficacia, o di andare incontro a fenomeni di tossicità e ad effetti collaterali. Quando parliamo di prodotti a base di cannabis non approvati dalle Autorità Regolatorie, ossia la cannabis medica, invece, la comunità medico scientifica riconosce delle potenzialità alla pianta e ad alcuni dei principi attivi presenti, è consapevole, in alcuni casi, dell’efficacia, ma questa non è stata confermata da studi clinici e, per alcune formulazioni o estratti, non si conosce esattamente il profilo di tollerabilità, soprattutto in relazione ad alcuni contesti patologici. Questo implica che, nel momento in cui andiamo a utilizzare queste sostanze, ci stiamo caricando di una responsabilità medica, esponendo il paziente a un rischio che non è perfettamente noto”.
Da questo si evince che l’utilizzo di qualsiasi sostanza, inclusa la cannabis o suoi derivati, al di fuori degli standard normalmente previsti, debba essere monitorato con grande attenzione e professionalità. “In più – spiega il professor Pistis – se per i farmaci approvati dalle Autorità Regolatorie, c’è un sistema di farmacovigilanza che raccoglie tutte le segnalazioni di eventi avversi, nel caso della cannabis medica esiste un sistema di fitovigilanza gestito dall’Istituto Superiore di Sanità, non rigoroso come il primo, applicato al mondo degli integratori, dei prodotti erboristici, fitoterapici e anche alla cannabis medica.” “In questo scenario quello che appare chiaro è che il rischio più grave sia quello dell’automedicazione o della prescrizione non adeguata perché non fatta dallo specialista – afferma la Dottoressa Laura Tassi – Lo specialista è figura indispensabile poiché garantisce ‘a monte’ una diagnosi precisa e puntuale. Altro elemento importantissimo è che, considerate le patologie in cui viene più utilizzata, la cannabis non viene mai prescritta da sola, ma in add on con altri farmaci, e solo lo specialista è in grado di valutare l’interazione tra i farmaci ed eventuali effetti collaterali, che esistono e possono essere molto gravi. Riassumendo – conclude la Dottoressa Tassi – lo specialista deve fornire una diagnosi accurata, avere la formazione adeguata ad utilizzare la cannabis e proseguire nel follow up, modificando eventualmente il dosaggio sulla base della risposta terapeutica”.
“Il tema dell’appropriatezza prescrittiva è ovviamente centrale per il regolatore. Una prescrizione farmacologica può essere considerata appropriata se effettuata all’interno delle indicazioni cliniche per le quali il farmaco si è dimostrato efficace e all’interno delle sue indicazioni d’uso (dose e durata del trattamento) – commenta la Professoressa Marcella Marletta – Appropriatezza è ovviamente un tema centrale anche quando si parla di cannabis medica. Anche in questo caso è opportuno che siano mantenute o implementate – laddove mancanti – misure che garantiscano l’appropriatezza prescrittiva di questi prodotti. Quindi – continua la Professoressa – iniziative come quella di oggi rappresentano occasioni preziose per riaffermare e diffondere una corretta informazione scientifica sull’uso della cannabis in ambito medico. Formazione e corretta informazione rappresentano capisaldi in ogni ambito, ma risultano imprescindibili in quello medico e scientifico, dove la tutela della salute dei pazienti deve rimanere la stella polare. L’aumento della consapevolezza sulla differenziazione tra i prodotti a base di cannabis e sul loro utilizzo per fini medici, sull’importanza del rispetto della gerarchia del farmaco, su misure che garantiscano l’appropriatezza prescrittiva, sono un obiettivo che tutti gli attori della filiera della salute devono porsi e raggiungere collettivamente per garantire, in primo luogo ai pazienti, la terapia più adatta alla propria condizione clinica e dall’altro allo Stato, di utilizzare in modo virtuoso le risorse pubbliche.”
Un elemento su cui c’è stato un perfetto allineamento di tutti gli esperti che hanno partecipato al dibattito è quello di sradicare la convinzione errata da parte della maggioranza della popolazione che “tutto quello che è naturale non faccia male”.
“Questa è l’affermazione più falsa che ci sia – sottolinea il Professor Russo – Tra i veleni più pericolosi ci sono quelli che vengono dalla natura. E così anche la cannabis ha effetti collaterali, che in parte conosciamo, per i quali esiste un rischio importante. Nell’ambito oncologico, per fare un esempio, se l’utilizzo della cannabis non viene gestito in modo appropriato, c’è il pericolo che vada ad inficiare le altre terapie cui è sottoposto il paziente, se non causare un danno diretto. Ovviamente, questo vale in qualsiasi contesto clinico e, come per ogni sostanza, il rischio interazioni è sempre dietro l’angolo. L’importante – conclude il professor Russo – è evitare nella maniera più assoluta ‘il fai da te’, ma avere sempre alle spalle un medico specialista che si occupi della prescrizione e a cui fare riferimento in caso di eventuali criticità.”