Le stime epidemiologiche non lasciano dubbi: il numero di persone over 65 che vivono con l’HIV è destinato a crescere nei prossimi dieci anni grazie alle terapie antiretrovirali che permettono di trasformare l’infezione da malattia mortale a cronica.
Risulta quindi necessario porre particolare attenzione a tutte le problematiche legate all’età e all’invecchiamento, soprattutto dal punto di vista cardiometabolico, anche perché le persone con HIV sono particolarmente a rischio dato che l’infezione virale cronica accelera il processo di invecchiamento e favorisce le patologie croniche associate all’età.
“Nella gestione del paziente con HIV diventa prioritaria la gestione delle comorbosità, soprattutto dal punto di vista del rischio cardiovascolare. Iniziando dal controllo dell’aumento del peso corporeo che è strettamente correlato all’insorgenza della sindrome metabolica – spiega Massimo Andreoni, direttore Scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) – e in questo senso un aiuto può venire anche dallo switch ad una terapia di combinazione. Lo studio DRIVE –SHIFT ha analizzato lo switch in pazienti in terapia antiretrovirale di successo – quindi, con viremia controllata – ad un regime che prevedeva l’utilizzo del tenofovir con l’emtricitabina associato alla doravirina, ha fornito dati metabolici promettenti dimostrando un miglioramento, in una grande percentuale di soggetti, dei valori legati all’assetto lipidico. Inoltre, ha mostrato dati relativi al weight gain e cioè all’incremento del peso ponderale. Noi sappiamo che questa problematica è estremamente rilevante oggi, perché l’aumento del peso ponderale viene descritto comunemente con i nuovi regimi terapeutici. E sappiamo che l’aumento del peso corporeo, evidentemente, correla con lo sviluppo della sindrome metabolica che rappresenta un problema nel paziente con infezione da HIV. Perché già sappiamo che la presenza del virus è in grado di determinare quello stato infiammatorio che fa sì che i nostri pazienti con infezione da HIV possano andare incontro a patologie cosiddette ‘non aids correlate’. Con lo studio DRIVE-SHIFT allo switch del trattamento si è visto come a distanza di 3 anni, quindi una osservazione molto lunga, l’incremento del peso corporeo risulta essere stato estremamente modesto, con un valore medio di 1,4 kg. Inoltre l’82 per cento di pazienti non ha avuto un incremento significativo del BMI (Body Mass Index)“.