di Ugo Perugini —–
Giancarlo Curone, o meglio, Giancurone come firmava i suoi quadri, è ancora una presenza viva, a sei anni dalla sua scomparsa. Quando un pittore muore lascia un grande senso di vuoto in chi gli sta intorno, ma per fortuna di lui restano le opere a testimoniare il suo messaggio, la sua visione della vita, la sua esperienza.
Trasferite come per magia sulla carta o sulla tela, ci rimangono immagini di un pensiero che possiamo ancora condividere e apprezzare, come in un dialogo muto ma prezioso che può proseguire non più attraverso le parole ma attraverso le forme e, soprattutto, i colori, la forza dei suoi colori.
L’azzurro, in particolare, ci colpisce. Un colore che porta i segni di spiritualità e trascendenza, il colore della contemplazione che nasce dai cieli e dalle acque, in quei suoi paesaggi pianeggianti della pianura padana, percorsi dalla vena pulsante delle acque del suo “Tisin”, il mare dei poveri, che lui frequentava spesso, immersi nella caligine che stempera gli orizzonti.
Nato a Vigevano, subito dopo gli studi a Brera si sposta a Sesto San Giovanni, dove completa la sua formazione artistica presso la Scuola Civica Faruffini. Qui, comincia a lavorare nel suo studio presso il “Quartiere delle Botteghe” e infine, si trasferisce a Desio, per seguire la compagna, dove apre un altro studio attorno al quale si viene pian piano coagulando una piccola ma feconda comunità di artisti. Ha cominciato ad esporre nel 1962 e ha continuato per tutta la sua vita fino alla morte nel 2014.
I suoi sono paesaggi di tempi passati, ma ancora vivi nella memoria, e trasmettono un senso di silenzio, tranquillità, tenerezza, pace. L’abilità nella pittura di Giancurone sta proprio nella sua capacità di liberare quasi il gesto pittorico da qualsiasi peso, trasformando il colore in un elemento impalpabile, atmosferico, che ha una sua spazialità, carica di una dolce, malinconica forza evocativa.
Anche l’immagine del corpo della donna nella sua pittura si fa evanescente, vibratile. Diventa un’idea allo stato puro, l’idea dell’amore che allude sinuosa, che entra nell’opera come forma vivente che si confonde con l’ambiente, con i fiori, vivificandoli con la sua essenza, capace di creare emozioni profonde.
Non amava il colore rosso Curone. Un’arcana idiosincrasia gli impediva di usarlo liberamente. Se osservate con attenzione i suoi lavori, vi renderete conto che non è frequente la sua presenza. Solo in una delle sue opere del 2013, un piccolo disegno, questo colore, per lui infausto, sembra prevalere. Ed è forse l’ultima opera prima di morire. La intitolò con triste presentimento: “Il mio cuore malato”.
La mostra, intitolata “Armonie senza tempo”, allestita alla Galleria d’Arte Certosa, in via Garegnano 28, resterà aperta nei giorni 15, 16, 22, 23 febbraio dalle 15,30 alle 18,30. L’esposizione è stata curata da Francesca Bellola che nella sua presentazione ha voluto ricordare l’attenzione dell’Artista all’acqua, che scorre come il tempo, “vitale per la sopravvivenza dell’intero ecosistema”.