di Carlo Radollovich
Ci troviamo nel cortile della Rocchetta al Castello Sforzesco. Qualora ci dirigessimo verso il suo angolo occidentale, raggiungeremmo dopo non molti passi la Torre Castellana. Qui è ora ammirabile un affresco stupendo, denominato “di Argo”, visitabile purtroppo solo in rare occasioni.
Si trova sopra la porta che collega le due salette del Tesoro ed è riapparso ai nostri occhi solo nel 1893, in occasione di restauri, sotto uno spesso strato di intonaco.
Molti studiosi riconoscono nel personaggio la figura di Argo, il gigante mitologico dai cento occhi che, secondo la “tradizione”, non sapeva cosa volesse significare coricarsi su un letto perché era in grado di non appisolarsi praticamente mai, abbassando le palpebre solo per pochissimo tempo.
Un motivo più che valido, da parte degli Sforza, per farne simbolicamente un vero e proprio guardiano, messo a custodia delle ricchezze accumulate dalla famiglia ducale.
Si ritiene che il grande affresco fosse stato commissionato da Ludovico il Moro nel 1493. Perché molti esperti ritengono di far risalire il personaggio ad Argo ? Gli indizi non sono pochi. Anzitutto nei due tondi, in finto rilievo, sono stati rappresentati due episodi relativi al suo mito e cioè: “Mercurio (Ermes) addormenta Argo” e “Argo ucciso da Mercurio (Ermes)”.
Ai lati dell’affresco sono stati posizionati due pavoni e, secondo un’antica leggenda, gli occhi che in parte formano le piume sulla loro coda, appartengono a quelli di Argo ormai morto. Inoltre, ai piedi dei tondi, è stata ricostruita la seguente frase oggi non più leggibile: “Ho restituito ad Argo tutti gli occhi che il dio gli aveva tolto. Egli faccia perciò la guardia alla rocca nata dal serpente”. E’ qui chiaro il riferimento allo stemma adottato dagli Sforza.
Aggiungiamo tuttavia che parte della critica preferisce vedere nell’affresco non tanto la figura di un gigante perdente (ucciso infatti da Mercurio), quanto il fascino del possente dio Giano, ritenuto una delle divinità più importanti della religione pagana romana, in grado di vigilare bene sia all’interno sia all’esterno del maniero.
Giano, come risaputo, è il mitico fondatore di Milano e tutore delle fortune della città. Un ultimo flash sul “mistero” riguardante l’autore dell’affresco. Alla sua scoperta venne attribuito a Leonardo, ma in seguito al Bramante. Oggi si ritiene che il progetto appartenga senz’altro a quest’ultimo, ma tuttavia l’affresco appartiene quasi sicuramente al suo allievo Bartolomeo Suardi, noto come il Bramantino.