di Ugo Perugini —
Cosa si può fare per impedire a un killer professionista di compiere il suo sporco lavoro? Non servono le forze dell’ordine, è decisamente più efficace un “rompiballe doc” come vicino di stanza. E questa è la storia de “L’emmerdeur”, una piéce di Francis Veber, portata sulla scena al San Babila da Max Pisu (naturalmente il rompiballe) e Claudio Batta (il killer).
Ne ha fatto un film di successo Ėdouard Molinaro nel 1973, quindi la vicenda è nota e non serve qui ripetere la trama, originale ma piuttosto esile, che comunque, in teatro offre ancora qualche opportunità di divertire, di “strappare” qualche risata, senza peraltro avere altre pretese.
Il rompiballe di Pisu è una macchietta, quasi una maschera da commedia dell’arte, tonto, ingenuo, a metà tra un Jerry Lewis, con i suoi tic verbali, ripetuti e ossessivi, invadente e impacciato, e uno Stanlio, maldestro, svagato, cattivo suo malgrado.
E, in realtà, è la prima volta che ci capita di avere un moto di comprensione e umana simpatia nei confronti di un killer, che fin dall’inizio è la vittima predestinata dei “maneggi” di un incapace che, dopo il suicidio fallito, lo coinvolge sempre più a fondo nelle sue beghe famigliari.
Naturalmente il meccanismo della risata ruota proprio sul rapporto scompensato tra questi due personaggi. Il truce e organizzato killer e lo sprovveduto e inetto Pignon, cornificato da una moglie che cerca – e come darle torto – altre compagnie.
Non che il medico psichiatria, con cui inizia a tradire il rompiballe, sia un personaggio normale. Anche lui è una caricatura, forse esageratamente grottesca (con l’accento tedesco, l’atteggiamento da filonazista, imbranato assoluto), che conferma l’idea di come la commedia sia destinata a finire proprio in farsa.
Si può ridere ancora per le scene in cui una scandalizzata cameriera interpreta la rissa tra i tre uomini protagonisti, colti in atteggiamenti equivoci, come un’orgia omosessuale? O per le parolacce del killer in un momento di esasperazione? C’è ancora chi lo fa, bontà sua.
La regia del lavoro è di Marco Rampoldi. Oltre ai protagonisti, da segnalare Lucia Marinsalta, Claudio Moneta, Roberta Petrozzi e Giorgio Verducci.