di Carlo Radollovich
Alla fine di via San Marco è visibile ancora oggi una conca, completamente priva d’acqua, che costituiva un punto d’arrivo in città per coloro che, provenienti da nord, avevano navigato lungo il Naviglio Martesana.
Si possono qui osservare due “portoni” in legno, purtroppo al limite della fatiscenza, usati a suo tempo per il funzionamento della chiusa, identici a quelli che erano stati disegnati da Leonardo e contemplati nel ben noto “Codice Atlantico”.
Da poco giunto a Milano per il suo primo soggiorno nella nostra città, egli iniziò a studiare approfonditamente i Navigli nei loro percorsi. Fu sua la realizzazione di un raccordo tra il Naviglio Martesana e la cerchia dei Navigli nonché lo studio di un collegamento tra lo stesso Naviglio Martesana e la cosiddetta fossa della città.
Per la verità, l’esecuzione di quest’ultima opera veniva affidata agli ingegneri Giuliano Guasconi e Bartolomeo della Valle, supportati però dall’esperta consulenza dello stesso Leonardo.
Il problema, affrontato con successo, fu quello di eliminare il dislivello esistente tra il Naviglio Grande e la Martesana. Tale problema era già stato peraltro risolto anni addietro grazie all’ingegnoso sistema delle chiuse.
Va detto tuttavia che Leonardo elaborò un miglioramento del meccanismo delle chiuse stesse, inserendo un portello aggiuntivo, posizionato verso il basso, il quale veniva azionato da terra per effetto di un perno decentrato che consentiva un’apertura graduale della chiusa sotto la spinta dell’acqua.
Accennavamo nel titolo che la chiusa dell’Incoronata era anche detta “delle gabelle” perché in questo punto i barcaioli dovevano pagare i corrispettivi dazi. Ciò viene pure testimoniato dalla presenza della garitta dei gabellieri. Importante: sottolineiamo che quest’area, nel 1967, venne riconosciuta come opera monumentale vincolata poiché trattasi dell’unico residuo storico del Naviglio Martesana nel suo tratto urbano.